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Agile, un satellite in famiglia

Da sinistra, Carlotta Pittori e Francesca Tamburelli ai laboratori di Frascati con il payload di Agile in fase di calibrazione (in secondo piano altri colleghi). Crediti: Inaf

Ora che Agile è tornato rientrando nell’oceano, ho pensato di scrivere una lettera a mia figlia chiedendole: com’è stato crescere dai 3 ai 27 anni con un fratello satellite in famiglia?

Ho iniziato ad avere a che fare con il “concepimento” di Agile nel 1999 (e c’è chi ha cominciato anche qualche anno prima di me!). Eravamo nella cosiddetta Fase A della missione, la fase di studio e progettazione del satellite. Si simulavano i dati, si cercava di capire come ottimizzare il software che sarebbe stato installato poi sul computer di bordo. Un computer dell’epoca, con capacità di calcolo e memoria inferiori anche solo in confronto ai moderni smartphone, ma con un sistema di gestione dei dati unico sviluppato in quegli anni, molto flessibile e in grado di gestire le complesse operazioni dello strumento scientifico che poi è stato installato a bordo e che ha funzionato con successo per più di 16 anni.

Poi c’è stato il periodo di preparazione del centro dati di Agile presso l’Asi Science Data Center (Asdc, ora Ssdc) che avrebbe accolto e gestito tutti i dati scientifici della missione. Ho iniziato a partecipare a questa avventura fin dal 2003 e ho avuto la fortuna di conoscere colleghi da cui ho imparato molto. Nomino solo una persona qui, Francesca Tamburelli della Telespazio, che è purtroppo scomparsa prematuramente pochi mesi dopo il lancio di Agile, nel 2007. Francesca, anche grazie alla sua precedente esperienza con il satellite Beppo-Sax, ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione del centro dati di Agile e da lei ho imparato tanto professionalmente quanto e soprattutto umanamente, una grande lezione di vita con il suo modo di affrontare la malattia senza mai perdere la gioia di vivere e la sua professionalità nel lavoro fino alla fine. Indimenticabili sono stati i suoi preziosi consigli dalla stanza di ospedale.

Rappresentazione artistica del satellite Agile, telescopio spaziale interamente made in Italy, in orbita attorno alla Terra. Crediti: Asi

Ed eccoci arrivati alla data di lancio: 23 aprile 2007. Io ero presente con i colleghi al centro di controllo di Telespazio al Fucino, con Francesca collegata al mio telefono. Un’emozione non facilmente descrivibile. Abbiamo assistito in diretta al lancio, che è avvenuto alle 12:00 circa (ora italiana) dalla base di Shriharikota, in India. Abbiamo seguito con gli occhi incollati ai monitor e il fiato sospeso il puntino luminoso che tracciava la posizione del satellite Agile in viaggio verso la sua orbita finale seguendo perfettamente le linee di previsione: più di 8 anni di lavoro appesi a un filo. Se qualcosa va male in questa fase non si può far nulla, non si potrà intervenire per riparare qualcosa come per un qualunque esperimento sulla Terra. C’è solo da aspettare. Ventitré minuti dopo Agile è entrato nella sua orbita attorno all’equatore a circa 550 km di altezza. Ma la sua nascita non era ancora conclusa: doveva ancora accendersi e dimostrare di funzionare, che per noi equivaleva ancora a una attesa di circa 90 interminabili minuti, quando infine alle 13:30 ha mandato a Terra tramite la stazione di Asi-Malindi i suoi primi impulsi! I dati sono rimbalzati prima al Fucino e poi arrivati al nostro centro dati, dove abbiamo potuto osservare commossi il primo fotone rilevato, tutto funzionava secondo le migliori aspettative.

E così è iniziata una storia di successo scientifico e tecnologico italiano durata quasi 17 anni, dimostrazione delle capacità che l’Asi, l’Inaf, l’Infn, l’università e l’industria hanno quando riescono a fare squadra.

Non parlerò qui degli importanti risultati di Agile, voglio solo dire che ho avuto il privilegio di vivere circa 17 anni con un satellite in orbita, che costituiva per me e il resto del team un occhio aperto in tempo (quasi) reale sull’universo e sui suoi fenomeni più energetici. Pochi hanno una tale fortuna. Mi mancherà molto.

Terminate le osservazioni, si apre ora una nuova fase di intenso lavoro sull’eredità di Agile, un ricco archivio scientifico di circa 17 anni di dati: attenzione, Agile può ancora riservarci future sorprese!

 

Agile ha concluso la sua missione

Il satellite Agile con parte del suo team scientifico

Dopo 17 anni di attività, il satellite scientifico dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) Agile (Astrorivelatore gamma a immagini leggero) è rientrato in atmosfera ponendo così fine alla sua intensa attività di cacciatore di sorgenti cosmiche tra le più energetiche dell’Universo che emettono raggi gamma e raggi X.  Agile ha rappresentato un programma spaziale unico e di enorme successo nel panorama delle attività spaziali italiane.

Agile è stato realizzato dall’Asi con il supporto dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), di università e dell’industria italiana, con Ohb Italia, Thales alenia space, Rheinmetall e Telespazio. In oltre 87.200 orbite intorno alla Terra, Agile ha monitorato il cielo alle alte energie osservando una grande varietà di sorgenti di raggi gamma galattiche ed extra galattiche, evidenziandone i cambiamenti molto rapidi, frequenti episodi di emissione X e gamma provenienti da stelle di neutroni, resti di esplosioni di Supernovae e buchi neri.

Le osservazioni acquisite dal satellite sono state ricevute a terra dalla stazione del Centro spaziale Luigi Broglio dell’Asi a Malindi, in Kenya. I dati sono stati poi ritrasmessi al Centro di controllo di Telespazio, per poi arrivare all’Asi Space Science Data Center (Ssdc) di Roma, responsabile di tutte le operazioni scientifiche: dalla gestione, analisi e archiviazione fino alla distribuzione dei dati e dei relativi cataloghi accessibili alla comunità internazionale.

La produzione scientifica di Agile è costituita da più di 800 riferimenti bibliografici, di cui più di 160 articoli con referaggio e 12 cataloghi di missione pubblicati fino a gennaio 2024. Tra le principali scoperte scientifiche di Agile ricordiamo la prima individuazione delle sorgenti di raggi cosmici galattici in resti di Supernovae, l’evidenza di accelerazione di particelle estremamente rapida dalla Nebulosa del Granchio con al centro una pulsar rapidamente ruotante (Premio Bruno Rossi 2012), e l’individuazione di emissione gamma in corrispondenza dell’emissione di getti relativistici dal sistema binario con buco nero galattico Cygnus X-3. Agile inoltre ha fornito una mappatura dell’intera Galassia molto dettagliata e studiato centinaia di sorgenti galattiche ed extra-galattiche.

Nel corso della sua vita operativa, Agile ha anche rivelato migliaia di eventi transienti di origine cosmica come Gamma Ray Bursts (Grb), eventi associati a neutrini ed a Fast radio burst (Frb), brillamenti solari, nonché eventi di origine terrestre come i Terrestrial gamma-ray flashes (Tgf). Agile ha contribuito con un ruolo di primo piano alla ricerca delle possibili controparti di sorgenti di onde gravitazionali (Gw). Le osservazioni di follow-up di Agile hanno infatti fornito la risposta più rapida e i limiti superiori più significativi sopra i 100 MeV su tutti gli eventi Gw rilevati dalla collaborazione Ligo-Virgo-Kagra fino ad oggi.

«AGILE può considerarsi una missione “da record” non solo per la durata di quasi 17 anni in orbita, ma anche per gli importanti risultati scientifici ottenuti» – commenta Teodoro Valente presidente dell’Asi – «Si tratta di una missione scientifica tutta italiana, realizzata dalla nostra industria (satellite e payload), operata dalla Base di Malindi e dal Centro di controllo del Fucino e gestita dallo Space science data center di Asi per le attività di analisi e archiviazione dei dati. A tutto ciò si aggiunge l’ottimo lavoro di interpretazione dei dati svolto dalla comunità scientifica nazionale, che è riuscita a sfruttare al meglio le potenzialità di questa straordinaria “macchina” messa a disposizione dall’Asi».

«Agile ci ha regalato moltissime sorprese e scoperte scientifiche di primo piano, frutto dell’ingegno e dell’enorme lavoro di tutti quelli che lo hanno visto prima crescere e poi lanciato in orbita» – dice Marco Tavani presidente dell’Inaf. «Un programma di prim’ordine sia per l’astrofisica che per la tecnologia, che ha visto Asi, istituzioni scientifiche e industria lavorare insieme in modo straordinario. Con il rientro in atmosfera di Agile si chiude la fase operativa in orbita ma se ne apre un’altra di intenso lavoro sull’archivio dei tanti dati accumulati che può riservare ancora sorprese. Chi ha avuto la fortuna di “dialogare” con Agile nel corso degli anni, lo ha considerato come una sorta di “amico” spaziale, sempre pronto, sempre all’erta, sempre capace di scandagliare l’Universo. Si può voler bene a un satellite ? Forse si. Grazie Agile. Grazie a tutti gli Agilisti che lo avranno nel cuore».

«Agile è stata davvero una missione di successo, un piccolo satellite che ha fatto una grande scienza», commenta Antonio Zoccoli, presidente dell’Infn. «Siamo orgogliosi di aver contribuito al cuore di questo successo con il tracciatore al silicio-tungsteno del Gamma Ray Imaging Detector, il cuore, appunto, del principale rivelatore di Agile, che ha fatto anche da apripista all’impiego “dei silici” nello spazio per l’astrofisica gamma delle alte energie, adottata poi anche dal Large Area Telescope della missione Fermi della Nasa. Inoltre, aver lavorato congiuntamente all’analisi dei dati di Agile ha anche dimostrato quanto la collaborazione tra la fisica delle particelle e l’astrofisica delle alte energie sia produttiva e porti a grandi risultati», conclude Zoccoli.

 

Per saperne di più:

Il primo catalogo dei brillamenti solari di Agile

Pubblicato il primo catalogo di brillamenti solari di Agile. I dati provengono da oltre 15 anni di osservazioni svolte dalla piccola missione scientifica italiana. Crediti: Asi / Agile

I brillamenti solari sono intense eruzioni di materia e radiazione elettromagnetica che avvengono nelle regioni più esterne dell’atmosfera solare. La frequenza con la quale si verificano, così come l’energia che rilasciano, sono parametri fondamentali per controllare l’attività solare e monitorare il ciclo undecennale del Sole.

Questo fenomeno è stato osservato dalla missione Agile (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero, una piccola missione scientifica dell’Agenzia Spaziale Italiana con la partecipazione di Infn, Inaf/Iasf e Cifs) e con i dati raccolti in oltre 15 anni di lavoro è stato realizzato il primo catalogo dei brillamenti solari. Questa mappatura sarà pubblicata prossimamente sulla rivista scientifica The Astrophysical Journal Letter Supplement.

Il nuovo catalogo di Agile include più di 5000 brillamenti solari rivelati dal lancio del satellite, avvenuto il 23 aprile 2007, fino al 2022, e contiene informazioni riguardanti la loro durata complessiva, la loro fase di crescita e decrescita e l’energia da essi rilasciata.

Sul sito dello Space Science Data Center dell’Asi è stata pubblicata anche una pagina interattiva che fornisce accesso a prodotti aggiuntivi, in particolare ai dati relativi alle curve di luce dei brillamenti, sia in formato immagine che in formato testo.

Istogramma dei brillamenti avvenuti tra il 2007 e il 2022, suddivisi per categoria. Crediti: A. Ursi et al. 2023

I brillamenti solari rilasciano una grande quantità di radiazione elettromagnetica a tutte le lunghezze d’onda, dalle energie cosiddette più “basse” (onde radio) fino alle energie più “alte” (raggi X e gamma). La stragrande maggioranza dei brillamenti sono stati e sono tuttora rivelati e raccolti dai satelliti Goes, che osservano il Sole da un’orbita geostazionaria (36mila chilometri dal suolo terrestre) nella banda di energia dei cosiddetti raggi X “molli”. D’altro canto, sono poche le missioni in grado di osservare questi eventi ad energie più alte, ossia nella banda dei raggi X “duri” e dei raggi gamma. Una di queste è appunto Agile, la cui Anti-Coincidenza di bordo, sensibile nella banda 80-200 keV (kiloelettronvolt), ha permesso di raccogliere una grande quantità di brillamenti nelle alte energie. In particolare, il catalogo contiene più di 1400 eventi “sfuggiti” ai satelliti Goes, fornendo un ulteriore campione di brillamenti che va a integrare i cataloghi solari già esistenti.

Una prima analisi degli eventi osservati da Agile sembra supportare un meccanismo di accelerazione degli elettroni nell’atmosfera solare articolato in due fasi, già suggerito sul finire degli anni ’70.

Per saperne di più:

  • Leggi su arXiv il pre-print dell’articolo “The First AGILE Solar Flare Catalog” di Alessandro Ursi, Nicolò Parmiggiani, Mauro Messerotti, Alberto Pellizzoni, Carlotta Pittori, Francesco Longo, Francesco Verrecchia, Andrea Argan, Andrea Bulgarelli, Marco Tavani, Patrizio Tempesta, Fabio D’Amico

BL Lacertae, il blazar con il getto sinuoso

Rappresentazione artistica del getto prodotto dal blazar BL Lacertae. Crediti: Iris Nieh

A circa un miliardo di anni luce da noi il blazar BL Lacertae, con il suo buco nero supermassiccio al centro di una enorme galassia, sta ingurgitando una sterminata quantità di materia, che in parte viene espulsa a velocità prossime a quella della luce sotto forma di due getti, uno dei quali punta quasi esattamente verso di noi. Studiando questo mostro cosmico, il Whole Earth Blazar Telescope (Webt), una collaborazione di astronomi di tutto il mondo di cui fanno attivamente parte ricercatrici e ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica, ha scoperto che la radiazione del suo getto orientato verso la Terra mostra delle forti oscillazioni cicliche di luminosità, che aumenta e diminuisce nell’arco di alcune ore. Secondo il team, questo comportamento assolutamente particolare è dovuto al fatto che il getto non sia esattamente rettilineo, ma si sia formata una piega (kink) prodotta da instabilità createsi nel getto ad una distanza di circa 16 anni luce dal buco nero che ha deviato ritmicamente il potentissimo flusso di radiazione verso di noi e ha prodotto così l’oscillazione di luminosità rilevata. Al lavoro, pubblicato sulla rivista Nature e guidato da Svetlana Jorstad dell’Università di Boston, hanno partecipato anche ricercatori di università italiane e astrofili presso alcuni osservatori non professionali nel nostro Paese.

Il blazar è un particolare nucleo galattico attivo (Agn) alimentato da materiale che cade in un buco nero supermassiccio situato al centro di una galassia. Circa il 10 per cento degli Agn presenta una coppia di getti che vengono proiettati nello spazio interstellare a velocità prossime a quella della luce. Si parla di blazar quando uno dei getti punta quasi direttamente verso la Terra, il che lo fa apparire molto più luminoso a causa di un effetto di focalizzazione relativistica. I getti producono radiazione che va dalle onde radio, al visibile, fino ai raggi X e gamma, la cui intensità varia rapidamente nel tempo. Queste variazioni sono di solito casuali, senza uno schema riconoscibile.

Il progetto Webt, avviato 25 anni fa e coordinato da Claudia Raiteri e Massimo Villata dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), ha l’obiettivo di monitorare la variabilità della luce visibile, ma anche quella nelle bande radio e del vicino infrarosso, nei blazar osservati nei raggi gamma dai satelliti Agile dell’Agenzia spaziale italiana e Fermi della Nasa. «Le nostre osservazioni hanno portato alla scoperta di cicli di variazione della luminosità visibile, di quella nei raggi gamma, e nel grado di polarizzazione del blazar BL Lacertae (BL Lac in breve) su tempi scala di circa 13 ore. Questo durante un periodo di forte emissione registrata a varie lunghezze d’onda nella seconda metà del 2020», dice Raiteri, dell’Inaf di Torino. BL Lac è alimentato da un buco nero con una massa di circa 170 milioni di volte quella del Sole ed è situato a circa un miliardo di anni luce dalla Terra. I cicli di variazioni di luminosità sono definiti “oscillazioni quasi-periodiche” o Qpo. Le Qpo si osservano più spesso in altri sistemi composti da coppie di buchi neri con masse comprese tra 10 e 50 volte quella del Sole che emettono raggi X.

Nel caso delle osservazioni della luminosità di BL Lacertae, il team ha proposto che nel getto si formi una piega che torce il campo magnetico del getto stesso, determinando così l’oscillazione della luminosità. Inoltre, un’altra caratteristica della radiazione osservata, ovvero la sua polarizzazione, cambia con un andamento nel tempo simile a quello della luminosità. La luce polarizzata proviene dal getto e la polarizzazione può variare solo se il campo magnetico cambia la sua configurazione nella regione che produce la luce. Il campo magnetico nel getto deve essere in torsione per provocare le oscillazioni. Le osservazioni di BL Lac mostrano anche una forte correlazione tra la luce visibile e le variazioni di raggi gamma senza alcun ritardo, il che colloca l’origine dei raggi gamma nella regione in cui cambia la luce visibile.

Se il campo magnetico di un getto ha una struttura a spirale, il getto e il campo possono diventare instabili e torcersi, creando una piega. Quando le particelle nel getto scorrono attraverso la piega, la quantità di radiazione emessa aumenta e diminuisce ritmicamente, producendo le Qpo. Tuttavia, per migliorare ulteriormente l’accordo tra le osservazioni e la teoria, i ricercatori hanno inserito il contributo legato a processi di turbolenza nel codice che descrive il comportamento dinamico del getto di BL Lac, ottenendo ottimi risultati anche nel riprodurre l’andamento della polarizzazione rilevata. A sostegno di questo scenario, le immagini della radiazione del getto nelle onde radio di alta frequenza, ottenute dal team con i dati del Very long baseline array (Vlba), mettono in evidenza una nuova macchia luminosa che risulta spostata rispetto all’asse del getto, con una direzione di polarizzazione che risulta favorevole allo sviluppo di una piega nel getto stesso.

«L’obiettivo del Webt è individuare i meccanismi fisici che causano la variabilità dei blazar attraverso l’organizzazione di intense campagne osservative multifrequenza e la relativa analisi ed interpretazione dei dati. I risultati ottenuti su BL Lac sono stati possibili grazie all’eccezionale continuità temporale delle osservazioni che il Webt riesce ad ottenere, dovuta alla collaborazione di decine di astronomi e astrofili che osservano a diverse longitudini, dandosi quindi il cambio nel compito osservativo durante le 24 ore di rotazione terrestre», dice Villata dell’Inaf di Torino, presidente del Webt dal 2000.

Scoperto nel 1929 nella costellazione della Lucertola (in latino Lacerta) e classificato inizialmente come stella variabile, BL Lac è il “capostipite” di una classe di Agn dalle caratteristiche simili: gli oggetti di tipo BL Lacertae.

 Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “Rapid quasi-periodic oscillations in the relativistic jet of BL Lacertae”, di Svetlana Jorstad et al.  Nel team internazionale di 86 ricercatori, per il contributo italiano hanno partecipato Claudia Maria Raiteri, Massimo Villata e Maria Isabel Carnerero Martin (Inaf Torino), Antonio Frasca (Inaf Catania), Giacomo Bonnoli (Inaf Milano, Università di Siena, Instituto de Astrofisica de Andalucia), Daniele Carosati (Inaf Tng, Ept Observatories), Alessandro Marchini (Università di Siena), Fabio Mortari e Davide Gabellini (Osservatorio Hypatia, Rimini), Pietro Aceti (Osservatorio Astronomico città di Seveso, Politecnico di Milano), Claudio Arena (Gruppo Astrofili Catanesi), Massimo Banfi (Osservatorio Astronomico città di Seveso), Fabio Salvaggio e Giuseppe Marino (Gruppo Astrofili Catanesi, Wild Boar Remote Observatory, Firenze), Riccardo Papini (Wild Boar Remote Observatory, Firenze), Simone Leonini (Osservatorio di Montarrenti, Siena)
  • Leggi su Media Inaf l’articolo Quel getto non è un serpente

 

 

Compie 15 anni il satellite “made in Italy” Agile

Il satellite Asi, telescopio spaziale interamente made in Italy, in orbita attorno alla Terra, che ha conseguito risultati scientifici fondamentali, tra cui quello di aver rilevato il primo Frb di origine galattica. Crediti: Asi

Quindici anni fa, il 23 aprile del 2007, il satellite scientifico italiano Agile (Astrorivelatore gamma a immagini leggero) decollava verso lo spazio dalla base di Sriharikota in India. Il satellite, realizzato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) con il contributo dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) iniziava così la sua vita operativa, prevista di due soli anni, e destinato a fare importanti scoperte scientifiche nel campo delle osservazioni scientifiche.

«A distanza di 15 anni dal lancio, avvenuto il 23 aprile 2007, e nonostante la pandemia Covid-19 e le inevitabili conseguenze anche sulle attività spaziali, il satellite Agile è a tutt’oggi pienamente operativo e continua ad effettuare ottime osservazioni scientifiche, in collaborazione con l’Inaf, nell’astrofisica delle alte energie, nello studio dei Terrestrial Gamma-ray Flashes (Tgf), nella ricerca delle contro-parti elettromagnetiche delle onde gravitazionali e anche in altri settori sperimentali come la ricerca e lo studio dei Fast Radio Burst» dichiara Fabio D’Amico, responsabile di programma Asi della missione Agile.

In questi quindici anni il satellite ha compiuto più di 77.600 orbite attorno alla Terra e ha acquisito la mappa completa del cielo osservato nella radiazione gamma. Agile ha esplorato la nostra galassia rivelando varie sorgenti galattiche soggette a cambiamenti molto rapidi e frequenti episodi di emissione X e gamma provenienti da molte stelle di neutroni e buchi neri.

Queste osservazioni sono state regolarmente trasmesse a terra, tramite la stazione di tracking dell’Asi di Malindi (Kenya), sono state inviate al Centro di controllo di Telespazio al Centro spaziale del Fucino in Abruzzo e da qui sono state rilanciate all’Asi Space Science Data Center (Ssdc) di Roma che ha provveduto a renderle disponibili alla comunità scientifica nazionale e internazionale e a gestirne i relativi cataloghi.

«Uno dei fattori determinanti nel successo della missione Agile è la sua capacità di risposta rapida in caso di eventi transienti, grazie ad un efficiente sistema di allerta sviluppato congiuntamente dal Team Agile e da Ssdc. Agile, dopo 15 anni, continua così il suo monitoraggio del cielo fornendo un contributo unico per la ricerca delle controparti gamma di onde gravitazionali, neutrini, Fast Radio Burst e altri transienti», dice Carlotta Pittori, coordinatrice del centro dati in Ssdc e responsabile scientifica della missione Agile dal 2019.

Il satellite ha anche registrato, nel 2010, inaspettati e repentini aumenti di emissione gamma provenienti dalla Nebulosa del Granchio (Crab). Questa nebulosa è una delle sorgenti più brillanti del cielo nello spettro X e gamma ed ha al centro una stella di neutroni in rapida rotazione che trasferisce energia al gas della parte interna attraverso un forte vento fatto di onde elettromagnetiche e particelle. Per questa scoperta, nel 2012, il prestigioso premio scientifico “Bruno Rossi” è stato assegnato alla missione Agile e al suo responsabile scientifico, principal investigator di Agile e attuale presidente dell’Inaf Marco Tavani, dalla High Energy Astrophisics Division dell’American Astronomical Society.

In questi 15 anni l’attività di osservazione scientifica di Agile è stata anche indirizzata alle osservazioni di alcuni fenomeni originati nell’atmosfera terrestre. Si tratta, appunto, dei Tgf: lampi di raggi gamma terrestri di brevissima durata – pochi millisecondi – che vengono prodotti a terra in occasioni di violenti temporali e, prevalentemente, nelle zone tropicali e equatoriali del nostro pianeta.

Il satellite dell’Asi Agile partecipa con i suoi strumenti di payload alle attività scientifiche di ricerca e analisi dei Fast Radio Burst – impulsi radio molto intensi provenienti dall’universo della durata del millisecondo, la cui origine non è ancora nota. Scoperti per la prima volta nel 2007, sono stati osservati su tutto il cielo e la loro origine è ancora dibattuta. Tutto è cambiato però nell’aprile 2020, quando un lampo radio veloce è stato osservato nella nostra galassia, la Via Lattea, e le osservazioni di Agile, confermate da altri satelliti, hanno mostrato per la prima volta che una stella di neutroni con campi magnetici molto intensi (magnetar) può produrre lampi di raggi X in coincidenza con esplosioni radio simili a Frb.

Guarda il video realizzato da Media Inaf nel 2008, in occasione del primo compleanno di Agile:

 

Capodanno col botto: visto un Grb da record

La regione di cielo nella quale è stato osservato Grb 220101A, tra le costellazioni di Pegaso e Andromeda. Crediti: Lina Tomasella/Inaf

Il botto di Capodanno più spettacolare, per gli astronomi, è arrivato quando qui da noi era già l’alba, alle 06:09:55 ora italiana di sabato primo gennaio. Mentre a New York era passata da pochi minuti la mezzanotte, a circa 600 km sopra le nostre teste il Burst Alert Telescope (Bat) del satellite Swift della Nasa registrava un improvviso flusso di fotoni ad altissima energia (nel range 15-350 keV) lungo parecchie decine di secondi: la firma inequivocabile di un lampo di raggi gamma. Un Grb, dall’inglese gamma ray burst. Il primo Grb dell’anno, da cui il suo “nome”: la sigla Grb 220101A, dove il numero a sei cifre sta per il primo gennaio del 2022.

Circa 15 secondi dopo, il segnale viene registrato anche dagli strumenti a bordo di altri due satelliti per le alte energie: dal Large Area Telescope (Lat) del telescopio Fermi della Nasa e dai rivelatori di Agile, un piccolo gioiello per la rilevazione dei raggi gamma interamente made in Italy attivo dal 2007, che nasce da una collaborazione tra l’Asi, l’Inaf, l’Infn e diverse università italiane, e che già ha avuto occasione di osservare altri Grb da record, come ad esempio Grb 080916C e Grb 160625B. Da un’analisi preliminare dei dati raccolti emerge subito che Grb 220101A non è solo il primo del 2022: è anche uno fra i lampi di raggi gamma più energetici di sempre. E se consideriamo che i lampi di raggi gamma, in generale, sono – Big Bang a parte – i fenomeni più potenti dell’universo, in grado di raggiungere luminosità pari a milioni di volte quella dell’intera nostra galassia, è facile intuire l’eccezionalità di questo evento.

«È molto raro osservare eventi così lunghi ed energetici», spiega a Media Inaf il primo autore della circolare (Gcn) che riporta l’osservazione con Agile, Alessandro Ursi dell’Inaf Iaps di Roma. «Il Grb 220101A ha attirato grande interesse da parte della comunità scientifica e in due giorni sono già state pubblicate più di venti Gcn che riportano osservazioni effettuate da missioni spaziali e da osservatori astronomici a terra».

Infatti nell’arco di pochi minuti dalle prime osservazioni avvenute nello spazio si mette in moto una catena ben collaudata per allertare telescopi di tutto il mondo e invitarli a osservare nella direzione dalla quale proviene il lampo gamma: un fazzoletto di cielo tra le costellazioni di Pegaso e Andromeda, ben circoscritto dallo strumento Xrt di Swift. La prima osservazione da Terra arriva alle 15:33 ora italiana da parte del telescopio robotico Master-Kislovodsk, in Russia, dove il Sole è appena tramontato. Nel frattempo il telescopio cinese Xinglong-2.16m offre una prima stima della distanza, calcolando un redshift z = 4.61, suggerendo dunque che si tratti di un segnale emesso oltre 12 miliardi di anni fa, quando l’universo aveva poco più di 1.3 miliardi di anni. E all’inizio della notte è il turno dei telescopi della Stazione osservativa di Cima Ekar dell’Inaf, ad Asiago.

«Non avevo guardato gli email quel primo giorno dell’anno», racconta a Media Inaf la prima autrice della circolare che riporta l’osservazione da Asiago, l’astronoma Lina Tomasella dell’Inaf di Padova, «ma verso le 22 mi ha chiamata al cellulare Enzo Brocato; ho pensato subito che potesse esserci un evento particolare in cielo. Altre volte ci siamo sentiti con Enzo dopo un alert da Ligo e Virgo per coordinarci – come gruppo Grawita – nella ricerca con i nostri telescopi Inaf delle controparti ottiche di onde gravitazionali, ma in questo periodo gli interferometri non sono in funzione. Con una certa ansia ho capito da Enzo che l’afterglow ottico del Grb stava già quasi tramontando: avevo solo un’ora scarsa per attivare gli strumenti di Asiago».

«Per il telescopio Schmidt, che da un paio di anni opera in modalità robotica», continua Tomasella, «è stato facile: pochi minuti sono bastati per inserire gli OB (observing blocks) contenenti i dati utili per attivare immediatamente l’osservazione automatica. Al telescopio Copernico era di turno Mauro D’Onofrio: gli ho girato subito coordinate, mappa del cielo e le indicazioni del set-up per fare la spettroscopia. Mauro è stato abilissimo nell’ottenere uno spettro, nel poco tempo a disposizione prima che l’oggetto fosse troppo basso sull’orizzonte, che, seppur debole, ha permesso di confermare l’elevato redshift dell’evento, z=4.61, ovvero quei fotoni sono arrivati da un oggetto che dista oltre 12 miliardi di anni luce da noi, in un universo giovanissimo».

Il Copernico e lo Schmidt dell’Osservatorio di Asiago non sono gli unici telescopi italiani ad essersi subito attivati. Scorrendo la lista delle “circolari” relative all’evento sul sito del Gamma-ray Burst Coordinates Network (Gcn) si incontra infatti anche l’osservazione firmata dalll’Osservatorio astronomico Salvatore Di Giacomo, ad Agerola (NA), al quale si deve l’immagine che vedete nel tweet qui sopra.

Ma perché tanto interesse attorno a Grb 220101A? «È un evento eccezionale», sottolinea Ursi. «Ad oggi è tra gli eventi con la più alta energia isotropica equivalente (un parametro utilizzato per stimare l’energia emessa da questi fenomeni) mai ricostruita per un Grb, pari a 3.7 x 1054 erg. È un Grb molto lungo, la cui fase di prompt è durata più di due minuti. Dalle prime stime del redshift ottenute dai telescopi a terra, l’evento sembra aver avuto luogo ad una distanza di 12.4 miliardi di anni luce, ossia quando l’universo aveva solo 1.3 miliardi di anni. Nonostante questa enorme distanza, il flusso di fotoni gamma sopravvissuto fino a noi e rivelato dai satelliti per l’astrofisica delle alte energie – a oggi Swift, Fermi e Agile – è estremamente elevato. La durata del Grb 220101A è dovuta anche alla grande distanza a cui ha avuto luogo, che ha l’effetto di “stirarne” la lunghezza temporale e di farlo apparire più lungo, in accordo con la dilatazione temporale cosmologica attesa dal modello di universo in espansione».

Le curve di luce ottenute con gli strumenti SuperAgile, MiniCalorimetro e AntiCoincidenza a bordo di Agile. Fonte: Alessandro Ursi et al. Gnc 31354, 2022

«I Grb sono eventi elusivi, la cui posizione celeste non è prevedibile in anticipo», continua Ursi. «La fortuna ha voluto che il satellite Agile stesse puntando esattamente nella direzione del Grb 220101A al momento in cui ha avuto luogo, permettendone una completa rivelazione a bordo. Agile è equipaggiato con diversi strumenti, operativi in diverse lunghezze d’onda, ed è quindi in grado di fornire una panoramica spettrale degli eventi di alta energia in un range energetico che va dalla banda X fino al GeV. In particolare, analisi preliminari effettuate con lo strumento minicalorimetro (MCal), sensibile nella banda tra 400 keV e 100 MeV e dotato di una risoluzione temporale di pochi microsecondi, hanno permesso di osservare nel dettaglio i primi istanti del Grb 220101A e di determinare che si tratta di un evento estremamente “duro” (ossia caratterizzato da una massiccia presenza di fotoni di alta energia) già nelle prime fasi del suo sviluppo».

Per saperne di più:

Integrazione del 3/1/2022, ore 18:00: nel pomeriggio del 3 gennaio, quando questo articolo era già online, è stata pubblicata sul sito del Gcn anche la circolare relativa alle osservazioni di un altro telescopio italiano, il Telescopio nazionale Galileo, che portano alla prima identificazione dell’afterglow nelle bande del vicino infrarosso.

A Nicolò Parmiggiani un premio per il deep learning

I sei ricercatori premiati sul palco del Palacongressi di Rimini. Nicolò Parmiggiani è il primo da destra

Non ha ancora trent’anni, Nicolò Parmiggiani, il ricercatore dell’Inaf Oas di Bologna che insegna agli algoritmi come imparare ad analizzare da soli i segnali provenienti dall’universo visto ai raggi gamma. E che questa mattina è salito sul palco del Web Marketing Festival (Wmf) 2021, il più grande Festival sull’innovazione digitale e sociale, al Palacongressi di Rimini, per ricevere uno dei sei assegni destinati ad altrettanti vincitori della prima edizione del Premio nazionale per la ricerca sui big data e l’intelligenza artificiale indetto da Wmf e da Ifab, l’International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development.

Una giuria di esperti formata da membri selezionati di Ifab, insieme al team del Wmf, ha selezionato i progetti migliori fra quelli candidati dagli enti di ricerca afferenti all’Associazione Big Data per le attività di ricerca e sviluppo. Sei in tutto, dicevamo, le ricercatrici e i ricercatori premiati. A loro sono andati, complessivamente, assegni per 13500 euro: uno da mille euro e cinque da 2500 euro. Fra questi ultimi, quello vinto da Parmiggiani per i suoi studi sulle tecnologie di deep learning da applicare all’astrofisica gamma, e in particolare al riconoscimento automatico dei gamma ray burst – i Grb, o lampi di raggi gamma – rilevati dallo strumento Grid del satellite Agile – un piccolo telescopio spaziale interamente italiano in attività da oltre 14 anni.

«Questo premio è una grande soddisfazione e mi incoraggia a continuare le ricerche per utilizzare efficacemente le tecnologie di intelligenza artificiale per l’analisi dei dati dell’astrofisica gamma», dice Parmiggiani a Media Inaf. «I risultati di questa ricerca sono stati ottenuti all’interno della collaborazione Agile, e per questa opportunità vorrei ringraziare Andrea Bulgarelli, il mio responsabile scientifico, e Marco Tavani, principal investigator della missione Agile [e attuale presidente dell’Inaf, ndr]. Poiché ho svolto questa attività durante il dottorato di ricerca in computer science che ho conseguito presso l’Università di Modena e Reggio Emilia, ringrazio anche il professor Domenico Beneventano per il prezioso supporto».

Nicolò Parmiggiani, ricercatore all’Inaf Oas di Bologna, al Palacongressi di Rimini per ricevere il Premio nazionale per la ricerca sui big data e l’intelligenza artificiale indetto da Wmf e Ifab

Nato a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, 29 anni fa, all’Inaf di Bologna Parmiggiani è impegnato nello sviluppo di tecniche di intelligenza artificiale per l’analisi dei dati di astrofisica gamma.  I risultati da lui ottenuti con tecniche di deep learning – di apprendimento automatico, appunto – sono migliori rispetto alle tecniche precedenti e incrementano la capacità del satellite Agile di individuare i Grb. Il metodo da lui sviluppato ha dimostrato la capacità di identificare segnali estremamente deboli in un contesto di bassa statistica e alto rumore di fondo, e può essere riutilizzato in altri contesti che presentino problemi analoghi. Non si tratta solo di uno studio teorico: i suoi algoritmi sono già in corso di implementazione all’interno del software di analisi automatica dei dati di Agile per la rilevazione dei Grb, e gli ottimi risultati ottenuti li rendono appetibili anche per altri telescopi simili. Primi fra tutti, i grandi osservatori da terra attualmente in costruzione, come il Cherenkov Telescope Array o il mini-array Astri, destinati a produrre terabyte di dati da analizzare offline ma anche in tempo reale.

«La rapidità con la quale si possono ottenere risultati è molto importante per poter prendere decisioni in merito al ripuntamento dei telescopi verso regioni di cielo di interesse e per rispondere alla comunicazione di eventi transienti da parte di altri progetti», dice Parmiggiani. «Le tecniche di deep learning unite alla potenza di calcolo delle Gpu possono essere utilizzate per analizzare velocemente, dopo la fase di training, i big data prodotti da questi progetti. Una caratteristica che rappresenta un importante punto di forza di queste tecnologie per l’applicazione in ambito astrofisico, dove la crescente mole di dati prodotti dai progetti di nuova generazione richiede l’utilizzo di tecniche di analisi sempre più evolute, performanti e resilienti ai cambiamenti delle condizioni operative degli strumenti».

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Agile fa luce sulla “foresta” dei lampi radio veloci

Il satellite Agile, telescopio spaziale interamente made in Italy, in orbita attorno alla Terra, che ha conseguito risultati scientifici fondamentali, tra cui quello di aver rilevato il primo Frb di origine galattica. Crediti: Asi

Uno dei misteri più affascinanti dell’astrofisica del nuovo millennio, i lampi radio veloci – in inglese fast radio burst, o Frb – sono intensi impulsi di onde radio che durano poche frazioni di secondo. Scoperti per la prima volta nel 2007, sono stati osservati su tutto il cielo e la loro origine è ancora dibattuta. Tutto è cambiato però il 28 aprile 2020, quando per la prima volta un lampo radio veloce è stato osservato nella nostra galassia, la Via Lattea, e per di più in concomitanza con un altro lampo all’estremo opposto dello spettro elettromagnetico: nei raggi X. L’emissione X è stata ricevuta da diversi osservatori spaziali tra cui il satellite tutto italiano Agile, realizzato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) con il contributo dell’Istituto nazionale di astrofisica e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn).

Il lampo rivelato nei raggi X proviene da una magnetar, ovvero un remnant stellare che possiede un campo magnetico centinaia di volte più intenso di una normale stella di neutroni. Queste osservazioni rafforzano il collegamento, già proposto in passato, tra alcuni tipi di Frb e le magnetar, che è stato investigato in dettaglio in un nuovo studio pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy, guidato da Marco Tavani, presidente dell’Inaf e principal investigator di Agile, che ha coinvolto ricercatori impegnati presso numerose sedi Inaf, l’Asi, l’Infn, l’Enea e diverse università, sia in Italia che all’estero.

La magnetar in questione si chiama Sgr 1935+2154, è stata scoperta nel 2014 e ruota su sé stessa ogni 3.2 secondi. Tra il 27 e il 28 aprile 2020, il rivelatore a raggi X-duri (hard X rays) Super-Agile a bordo del satellite ha rivelato decine di brevi lampi nei raggi X nell’arco di sette ore. Questi impulsi, con una durata che varia da frazioni di secondo a pochi secondi, ricordano una sorta di “foresta” quando li si osserva in un grafico in sequenza temporale. Sembrava ordinaria amministrazione per una magnetar, se non fosse che uno di questi lampi, della durata di mezzo secondo, è giunto in contemporanea con un fortissimo impulso nelle onde radio, peraltro doppio e brevissimo – meno di un millesimo di secondo – registrato dal radiotelescopio canadese Chime e da quello californiano Stare2. Un fenomeno molto simile a un Frb, appunto.

Rappresentazione artistica della magnetar Sgr 1935+2154. Crediti: Esa

Queste osservazioni hanno mostrato per la prima volta che una magnetar può produrre lampi di raggi X in coincidenza con esplosioni radio simili a Frb, e che un Frb, se associabile a una sorgente di tipo magnetar, potrebbe emettere lampi di raggi X. In particolare, il lampo X il cui arrivo coincide temporalmente con l’impulso ricevuto anche in onde radio risulta meno intenso e caratterizzato da energie più basse (soft X rays) rispetto alla raffica di lampi X emessi dalla stessa sorgente e osservati da Agile il giorno precedente.

L’emissione nei raggi X è stata confermata anche da altre missioni spaziali, quali Integral, Konus-Wind e Insight/Hmxt. Dopo la scoperta, i ricercatori hanno continuato a osservare per diverse settimane questa sorgente con il radiotelescopio Inaf della Croce del Nord a Medicina, vicino Bologna, registrando un segnale radio pulsato il 30 maggio, oltre un mese dopo l’osservazione dei lampi radio e X.

Per Francesco Verrecchia, tecnologo dell’Istituto nazionale di astrofisica presso l’Ssdc-Asi, «questa osservazione risulta di estrema importanza perché rappresenta la prima “pistola fumante” per questo fenomeno, ovvero il primo caso di un’osservazione che possa associare un sottogruppo di queste sorgenti radio di origine ancora sconosciuta, gli Frb, con uno dei modelli fisici favoriti. Ora gli astronomi stanno lavorando per ottenere la misura opposta: l’osservazione di emissione nei raggi X da un Frb».

«Il satellite Agile, lanciato in orbita nel mese di aprile 2007, è ancora pienamente operativo e continua a produrre ottima scienza – in collaborazione con l’Inaf – nell’astrofisica delle alte energie, nello studio dei Terrestrial Gamma-ray Flashes (Tgf), nella ricerca delle contro-parti elettromagnetiche delle onde gravitazionali (Gw) ed anche nella ricerca e studio dei fast radio burst (Frb)», dichiara Fabio D’Amico, responsabile di programma Asi della missione Agile.

«Questa scoperta è stata resa possibile dall’analisi attenta di tutti i rivelatori di Agile. In particolare sono stati utilizzati i cosiddetti “ratemeters”, ossia lo studio dei conteggi raccolti nelle varie bande energetiche da parte dei vari strumenti a bordo. Questo studio permette di monitorare in modo continuativo il cielo nella banda X e nella banda gamma. Sinora sono stati utili anche per la rivelazione di lampi di raggi gamma e brillamenti solari», spiega Francesco Longo, ricercatore della Sezione di Trieste dell’Infn.

Confrontando le osservazioni nelle due diverse bande, è stato possibile analizzare gli aspetti energetici dell’evento osservato il 28 aprile per studiare i possibili meccanismi di emissione e la geometria di questi fenomeni, anche se non è ancora stato trovato un singolo meccanismo che possa spiegare univocamente le osservazioni.

I diversi tipi di segnali registrati da Agile indicano che le magnetar sono in grado di emettere super-impulsi radio in coincidenza con lampi X più deboli, i quali sono probabilmente prodotti da un meccanismo diverso rispetto a quello che causa l’emissione dei lampi più intensi. Questa magnetar si trova però relativamente “vicino” a noi, nella nostra galassia, il che ha reso possibile l’osservazione di entrambi i tipi di lampi X, sia quello debole che quelli più intensi. E per altre sorgenti di Frb? Per rispondere a questa domanda, il team ha passato in rassegna altri esempi di Frb non troppo distanti.

Tra essi ha destato particolare attenzione Frb 180916, sorgente scoperta nel 2018 e nota per la produzione ripetuta e periodica di lampi radio veloci, portando alla realizzazione del più ampio e accurato campione di dati sul monitoraggio nei raggi X di una sorgente di Frb, basato sulla combinazione di dati di Agile e del Neil Gehrels Swift Observatory della Nasa. Non sono ancora stati rivelati intensi lampi di raggi X da questa sorgente, ma i calcoli indicano che il segnale sarebbe ben dentro il range di sensibilità di osservatori ai raggi X quali Swift e Chandra, anch’esso della Nasa. La caccia, dunque, continua.

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “An X-Ray Burst from a Magnetar Enlightening the Mechanism of Fast Radio Bursts”, di M. Tavani, C. Casentini, A. Ursi, F. Verrecchia, A. Addis, L.A. Antonelli, A. Argan, G. Barbiellini, L. Baroncelli, G. Bernardi, G. Bianchi, A. Bulgarelli, P. Caraveo, M. Cardillo, P.W. Cattaneo, A.W. Chen, E. Costa, E. Del Monte, G. Di Cocco, G. Di Persio, I. Donnarumma, Y. Evangelista, M. Feroci, A. Ferrari, V. Fioretti, F. Fuschino, M. Galli, F. Gianotti, A. Giuliani, C. Labanti, F. Lazzarotto, P. Lipari, F. Longo, F. Lucarelli, A. Magro, M. Marisaldi, S. Mereghetti, E. Morelli, A. Morselli, G. Naldi, L. Pacciani, N. Parmiggiani, F. Paoletti, A. Pellizzoni, M. Perri, F. Perotti, G. Piano, P. Picozza, M. Pilia, C. Pittori, S. Puccetti, G. Pupillo, M. Rapisarda, A. Rappoldi, A. Rubini, G. Setti, P. Soffitta, M. Trifoglio, A. Trois, S. Vercellone, V. Vittorini, P. Giommi, F. D’Amico

Marco Tavani è il nuovo presidente dell’Inaf

Marco Tavani, presidente Inaf

L’Inaf ha un nuovo presidente: l’astrofisico Marco Tavani, il “papà” del satellite Agile, nominato alla guida dell’Ente dal ministro Gaetano Manfredi – il decreto è di venerdì 9 ottobre – a meno di un mese dalla prematura e improvvisa scomparsa del professor Nichi D’Amico, venuto a mancare lo scorso 14 settembre.

«La chiamata della segreteria del Ministero dell’università e della ricerca è giunta inaspettata», dice Tavani a Media Inaf, «subito mi è stato passato il ministro Manfredi, che è stato molto gentile, ha avuto parole di grande apprezzamento per l’Inaf e per il lavoro svolto dall’Ente. Mi sono detto onoratissimo della nomina. E sì, mi sono certamente emozionato».

Sessantatré anni appena compiuti, Tavani è dirigente di ricerca (prima al Cnr poi all’Inaf) dal 1999, docente all’Università “Tor Vergata” di Roma e al Gran Sasso Science Institute, con un’esperienza decennale di ricerca e insegnamento negli Stati Uniti (Columbia University, University of California at Berkeley, Lawrence Livermore National Laboratory, Stanford University, Princeton University, Goddard Space Flight Center e Marshall Space Flight Center della Nasa). I suoi temi di ricerca principali sono l’astrofisica teorica e osservativa di sorgenti galattiche ed extragalattiche, l’origine dei raggi cosmici, i gamma-ray bursts, le teorie di accelerazione di particelle, le controparti di sorgenti di onde gravitazionali e neutrini, i lampi gamma terrestri e i fenomeni magnetosferici. Dal 1997 è principal investigator della missione spaziale dell’Asi Agile, un satellite scientifico per l’astrofisica delle alte energie interamente “made in Italy”, in orbita dal 23 aprile 2007 e tutt’ora operativo. È stato membro del CdA dell’Inaf dal 2015 al 2019 ed è Socio Corrispondente dell’Accademia nazionale dei Lincei.

«L’Inaf è un’entità scientifica di primissimo piano», ricorda il neopresidente. «Se è così visibile e apprezzato nel panorama scientifico europeo e internazionale è perché i suoi astronomi sono sempre “sulla cresta dell’onda”. L’Inaf attuale è coinvolto in moltissimi settori dell’astronomia e dell’astrofisica da terra e dallo spazio, dalle onde radio ai raggi gamma di alta energia, passando ovviamente attraverso telescopi ottici sempre più all’avanguardia per i quali l’Italia dà contributi fondamentali».

«Si tratta quindi di consolidare ancor di più il cammino spesso complicato dei grandi progetti internazionali, di rafforzare le nostre strutture osservative e svilupparne di nuove, di sostenere maggiormente la ricerca di base e di favorire al massimo l’inserimento dei nostri giovani e le progressioni interne», spiega Tavani. «Le grandi sfide del futuro in astronomia e astrofisica si vinceranno con coesione, collaborazione e spirito di gruppo. I cieli non sono più abissalmente lontani dalle esigenze dell’uomo, e l’astrofisica moderna è sempre più inserita nella società. Le tecnologie impiegate, dai rivelatori di onde radio agli strumenti in satelliti spaziali permeano ormai la vita di noi tutti. Aumentare la consapevolezza dell’importanza dell’astrofisica nella nostra società è quindi di enorme importanza. Porterà non solo consensi e maggiore supporto per la scienza italiana, ma fornirà soprattutto gli strumenti per i nostri premi Nobel di domani».

Eta Carinae spara raggi gamma fino a 400 GeV

Nella regione dello shock in cui i venti stellari supersonici delle due stelle si scontrano, le particelle subatomiche sono accelerate a tal punto da produrre radiazioni gamma ad altissima energia. Crediti: Desy, Science Communication Lab

Un gruppo di ricercatori guidato dal Desy (Deutsches Elektronen-Synchrotron) – un centro nazionale di ricerca scientifica sulla fisica nucleare in Germania) – servendosi di Hess (High Energy Stereoscopic System) – un sistema di 4 telescopi a effetto Cherenkov per lo studio dei raggi gamma tra 100 GeV e 100 TeV, in Namibia – ha dimostrato come un certo tipo di stella binaria sia un nuovo tipo di sorgente di radiazione gamma ad altissima energia. Il team ha presentato le sue scoperte su Astronomy & Astrophysics.

La sorgente in questione è Eta Carinae, che si trova a 7500 anni luce di distanza dalla Terra, nella costellazione della Carena. Sulla base dei dati raccolti, emette raggi gamma con energie fino a 400 gigaelectronvolt (GeV), circa 100 miliardi di volte più alta dell’energia della luce visibile.

Eta Carinae è un sistema binario costituito da due giganti blu, con un massa rispettivamente di circa 100 e 30 volte la massa del Sole. Le due stelle orbitano l’una attorno all’altra in 5.5 anni, lungo orbite ellittiche molto eccentriche. La separazione tra le due stelle varia approssimativamente tra la distanza di Marte dal Sole (1.5 unità astronomiche) e quella di Urano (19 unità astronomiche) . Entrambe queste stelle soffiano nello spazio densi venti stellari supersonici di particelle cariche. Nel processo, la più grande delle due perde una massa equivalente a quella del Sole in soli 5000 anni. La più piccola produce un forte vento stellare che viaggia a velocità di circa undici milioni di chilometri orari (circa l’uno percento della velocità della luce).

Nella regione in cui questi venti stellari si scontrano, si forma un enorme fronte d’urto, che riscalda il materiale presente nel vento a temperature estremamente elevate. A circa 50 milioni di gradi Celsius, questa materia irradia raggi X. Le particelle nel vento stellare quindi non sono abbastanza calde per emettere radiazione gamma. «Tuttavia, le regioni di shock come queste sono in genere siti in cui le particelle subatomiche sono accelerate da forti campi elettromagnetici», spiega Stefan Ohm, a capo del gruppo Hess al Desy. Quando le particelle vengono accelerate così rapidamente, possono emettere anche radiazione gamma. Infatti, nel 2009 i satelliti Fermi della Nasa e Agile dell’Asi avevano già rilevato raggi gamma ad alta energia fino a circa 10 GeV provenienti da Eta Carinae.

«Sono stati proposti diversi modelli per spiegare come venga prodotta questa radiazione gamma», riferisce Matthias Füßling. «Potrebbe essere generata da elettroni accelerati o da nuclei atomici ad alta energia». Determinare quale di questi due scenari sia quello giusto è fondamentale: i nuclei atomici molto energici rappresentano la maggior parte dei cosiddetti raggi cosmici, una grandinata subatomica che colpisce la Terra costantemente, da tutte le direzioni. Nonostante le intense ricerche che si stanno protraendo da oltre 100 anni, non conosciamo ancora completamente le sorgenti di raggi cosmici. Questo principalmente perché i nuclei atomici carichi elettricamente, mentre viaggiano attraverso l’universo, vengono deviati dai campi magnetici, e quindi la direzione da cui arrivano sulla Terra non è più indicativa della loro origine. I raggi gamma, invece, non vengono deviati. Quindi, se si riuscisse a dimostrare che i raggi gamma emessi da una certa sorgente provengono da nuclei atomici ad alta energia, avremmo identificato uno degli acceleratori di particelle cosmiche a lungo cercati.

Le radiazioni gamma di energia molto elevata di Eta Carinae potrebbero essere rilevate con H.E.S.S. nel periodo del prossimo incontro delle due stelle giganti. Crediti: Desy, Science Communication Lab

«Nel caso di Eta Carinae, gli elettroni hanno difficoltà a essere accelerati ad alte energie, perché durante la loro accelerazione vengono costantemente deviati dai campi magnetici, perdendo energia», afferma Eva Leser. «La radiazione gamma ad altissima energia inizia al di sopra dei 100 GeV, ed è piuttosto difficile da spiegare in Eta Carinae come derivata dall’accelerazione elettronica». I dati satellitari hanno già indicato che Eta Carinae emette anche radiazioni gamma oltre 100 GeV e ora Hess è riuscito a rilevare tale radiazione fino a energie di 400 GeV, nel periodo in cui le due giganti blu hanno avuto l’incontro ravvicinato, nel 2014 e 2015. Questo rende la stella binaria il primo esempio noto di sorgente in cui la radiazione gamma ad altissima energia è generata dalla collisione di venti stellari.

«L’analisi delle misurazioni della radiazione gamma effettuate da Hess e dai satelliti mostrano che la radiazione può essere meglio interpretata come generata da nuclei atomici in rapida accelerazione», conclude Ruslan Konno. «Ciò renderebbe le regioni d’urto dei venti stellari che collidono un nuovo tipo di acceleratore di particelle naturale per i raggi cosmici». Con Hess e l’imminente Cherenkov Telescope Array (Cta), l’osservatorio di raggi gamma di prossima generazione attualmente in costruzione negli altopiani cileni, gli scienziati sperano di riuscire a indagare ancora più nel dettaglio questo fenomeno e scoprire più sorgenti di questo tipo.

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Lampo radio da record per Srt

Da sinistra: il Sardinia Radio Telescope e le astrofisiche dell’Inaf di Cagliari Maura Pilia e Marta Burgay. Crediti Inaf

I fast radio burst (Frb), in italiano lampi radio veloci, sono fenomeni celesti abbastanza nuovi e inconsueti: a oggi se ne contano 122, scoperti in sette anni di osservazioni. Sono eventi enigmatici, brevissimi flash nelle onde radio provenienti da altre galassie. In quanto fenomeni radio sono invisibili all’occhio umano, perché viaggiano su frequenze inferiori a quelle ottiche e non hanno, d’altra parte, corrispondenza in quelle superiori, come i raggi X o Gamma.

Il Sardinia Radio Telescope (Srt) dell’Inaf – uno tra radiotelescopi più performanti del mondo, situato a San Basilio, vicino Cagliari – ha dimostrato ancora una volta il suo valore in uno studio sugli Frb condotto da Maura Pilia, dell’Inaf di Cagliari, insieme a un team prevalentemente italiano. Lo studio è stato pubblicato oggi, lunedì 22 giugno, sulla rivista The Astrophysical Journal. Srt ha osservato una serie ravvicinata di tre Frb alla frequenza più bassa mai registrata prima per questi eventi. Il precedente “record” era di 400 megahertz: Srt è riuscito ad abbassare questa frequenza fino a 327 megahertz, nella cosiddetta “banda P”, che corrisponde a lunghezze d’onda di circa 90 centimetri.

Per poter arrivare a questo risultato si sono sfruttate caratteristiche peculiari rilevate in alcuni di questi fenomeni che, pur misteriosi e per la maggior parte imprevedibili, sono risultati ripetitivi – in due casi addirittura grosso modo periodici, cioè con cicli alternati di fasi attive e di fasi di silenzio radio, come ha dimostrato lo studio internazionale appena pubblicato su Nature riguardante proprio la sorgente osservata da Srt, Frb 180916. Prima di essere pubblicata, la scoperta è stata divulgata tra gli astronomi di tutto il mondo, ed è così che è nata l’osservazione con Srt. Gli astronomi hanno quindi sfruttato queste caratteristiche per individuarne innanzitutto la posizione nel cielo e poterlo osservare puntando uno o più strumenti al momento giusto.

«Nel febbraio del 2020, non appena è stato certificato il ritmo di ripetitività della sorgente Frb 180916.J0158+65», ricorda Maura Pilia, che ha coordinato numerosi ricercatori Inaf in questo lavoro, «nell’arco di tempo di circa una settimana abbiamo puntato molti telescopi, sia da terra che dallo spazio, verso la direzione di provenienza del segnale, partito circa 450 milioni di anni fa da una galassia di nome Sdss J015800.28+654253.0, nella costellazione di Cassiopea – la famosa “W” dirimpettaia dell’Orsa Maggiore».

Gli strumenti in campo erano addirittura otto: oltre a Srt, gli altri radiotelescopi Inaf coinvolti erano la Croce del Nord a Medicina, il Telescopio nazionale Galileo alle Canarie, il telescopio di Asiago, i telescopi spaziali Xmm-Newton, Nicer, Integral e Agile. «Tra tutti gli strumenti coinvolti», dice Marta Burgay, dell’Inaf di Cagliari e parte del team che ha condotto lo studio, «Srt è stato il solo a essere riuscito a intercettare i tre lampi radio: un nuovo grande successo scientifico per la nostra antenna».

L’immagine in banda radio del Frb osservato: Srt ha abbassato la frequenza di osservazione in banda radio fino a 327 megahertz, stabilendo un nuovo record per l’osservazione di questo tipo di sorgente”. Crediti: M. Pilia/Inaf

Sulla natura dell’oggetto cosmico in grado di generare questi lampi radio di pochi millisecondi il mistero è fitto. Le ipotesi proposte sono decine, molte coinvolgono buchi neri, stelle di neutroni, stelle nane bianche, esplosioni di supernova. «Nel caso degli Frb di tipo ripetitivo», aggiunge Andrea Possenti, dell’Inaf di Cagliari, anche lui membro del team di ricerca che ha realizzato lo studio, «il modello che sta acquistando maggior credito chiama in causa le magnetar, che, come dice il nome stesso, sono stelle di neutroni con un campo magnetico straordinariamente elevato, fino a un milione di miliardi di volte quello terrestre».

A parte la naturale soddisfazione dei ricercatori per aver battuto un record, il risultato di Srt indica che lo studio degli Frb, specie di quelli non troppo lontani, è possibile anche a basse frequenze radio e ciò ci potrà aiutare a comprenderne la natura. «Una buona notizia sia per Srt, il miglior strumento oggi disponibile in Europa per osservare attorno a 300 MHz», conclude Possenti, «sia per LoFar 2.0 e Ska1-Low, due altri grandi progetti internazionali del prossimo decennio per osservazioni radio a basse frequenze, nei quali Inaf gioca in prima linea».

Per saperne di più:

  • Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo “The lowest frequency Fast Radio Bursts: Sardinia Radio Telescope detection of the periodic Frb 180916 at 328 MHz”, di M. Pilia, M. Burgay, A. Possenti, A. Ridolfi, V. Gajjar,  A. Corongiu, D. Perrodin, G. Bernardi, G. Naldi, G. Pupillo, F. Ambrosino, G. Bianchi, A. Burtovoi, P. Casella, C. Casentini, M. Cecconi, C. Ferrigno, M. Fiori, K. C. Gendreau, A. Ghedina, G. Naletto, L. Nicastro, P. Ochner, E. Palazzi, F. Panessa, A. Papitto, C. Pittori, N. Rea, G. A. Rodriguez Castillo, V. Savchenko, G. Setti, M. Tavani, A. Trois, M. Trudu, M. Turatto, A. Ursi, F. Verrecchia e L. Zampieri.

 

Il lampo radio più veloce della galassia

Impressione artistica di un Fast Radio Burst in viaggio verso la Terra. I colori rappresentano il fascio di luce che arriva a diverse lunghezze d’onda nella banda radio. In blu le lunghezze d’onda più corte, che arrivano svariati secondi prima di quelle in rosso, che corrispondono invece a lunghezze d’onda maggiori. Questo effetto si chiama dispersione ed è dovuto al fatto che il segnale radio passa attraverso a del plasma. Crediti: Jingchuan Yu, Planetario di Pechino

I lampi radio veloci, conosciuti come Frb (acronimo di Fast Radio Bursts), sono esplosioni di onde radio molto intense che durano poche frazioni di secondo, provenienti da tutto il cielo e la cui origine è ancora sconosciuta. Il primo Frb è stato scoperto nel 2007, nei dati di archivio dell’osservatorio di Parkes, e a oggi ne sono stati scoperti una cinquantina, tutti di origine extragalattica.

Pochi giorni fa, il 28 aprile 2020, mentre l’umanità era impegnata a combattere un nemico invisibile che ha portato alla chiusura di moltissime attività, tra cui quelle di ricerca nelle strutture osservative (si veda lo speciale telescopi nei giorni del Coronavirus), il radiotelescopio canadese Chime (Canadian Hydrogen Intensity Mapping Experiment), uno strumento progettato specificamente per studiare fenomeni come i lampi radio veloci, ha rivelato qualcosa di molto particolare. In realtà non stava puntando direttamente verso la sorgente oggetto della scoperta ma il segnale è stato così forte da essere ugualmente catturato dal radiotelescopio, per così dire, con la coda dell’occhio. La sua potenza e la sua durata sono state paragonabili a quelle dei Frb osservati fino ad oggi.

Ma che qualcosa si stesse muovendo, in quella regione di cielo, si era visto anche il giorno prima, il 27 aprile, quando lo Swift Burst Alert Telescope aveva rilevato una serie di lampi gamma provenienti dalla stessa zona di cielo, che erano stati associati a un oggetto noto, chiamato Sgr 1935+2154: un cosiddetto Sgr (soft gamma repeater), ossia un oggetto astronomico che emette grandi esplosioni di raggi gamma e raggi X a intervalli irregolari. In particolare, Sgr 1935+2154 è un vecchio residuo stellare che si trova nella Via Lattea, a circa 30mila anni luce di distanza, nella costellazione della Volpetta. Il lampo X è stato osservato anche da telescopi a raggi X terrestri e spaziali, tra cui il nostro piccolo e abilissimo Agile, il satellite tutto italiano, risultato della collaborazione tra Asi, Inaf e Infn, insieme al Cnr e all’industria nazionale.

L’astrofisico Marco Tavani, principal investigator di Agile, che è riuscito a misurare l’evento con il rivelatore a raggi X-duri chiamato Super-Agile

Nessun Frb era mai stato associato a raggi X o gamma, prima. Questa osservazione, se davvero si è trattato di un Frb, ci mostra qualcosa di completamente nuovo, ed è una scoperta che potrebbe aiutare a risolvere uno dei più grandi misteri dell’astronomia. E, come se questo non bastasse a rendere la scoperta speciale, gli astronomi pensano di aver identificato la fonte dell’esplosione. Media Inaf ha raggiunto l’astrofisico Marco Tavani, principal investigator di Agile e coinvolto in prima persona nella scoperta, che ci ha raccontato nel dettaglio com’è andata e perché è così importante.

Cos’è successo esattamente il 28 aprile?

«La scoperta del 28 aprile di emissione X in contemporanea con un fortissimo impulso (doppio) radio della durata di una frazione di secondo dalla magnetar Sgr 1935+2154 è di importanza enorme, poiché ci avvicina alla comprensione dei cosiddetti Fast Radio Bursts (Frb). L’impulso radio ha caratteristiche molto simili agli Frb che attendono una spiegazione: sappiamo che arrivano da sorgenti al di fuori della nostra galassia, ma la natura delle sorgenti ultime del fenomeno è ancora misteriosa. Ora con la rivelazione di un impulso radio associato a un lampo X nella Via Lattea da parte di una stella di neutroni fortemente magnetizzata, appunto la Sgr 1935+2154, è come vedere un po’ di luce alla fine del tunnel per la comprensione degli Frb. Inoltre, è la prima volta che si rivela una breve emissione di raggi X (burst-X) associata al super-impulso radio, e questo fatto sarà di fondamentale importanza per capire il meccanismo di generazione dei Frb».

Una rottura nella crosta di una stella di neutroni altamente magnetizzata, mostrata qui in un rendering artistico, può innescare eruzioni ad alta energia. Crediti: Goddard Space Flight Center/S della Nasa; Wiessinger

Che tipo di sorgente è Sgr 1935+2154?

«È una stella di neutroni nella nostra galassia con un campo magnetico cento volte più intenso di quello delle pulsar normali, e che quindi ruota molto lentamente (il suo periodo di rotazione è di 3.2 secondi) rispetto alle pulsar, poiché ha rallentato molto la sua rotazione proprio a causa del suo campo magnetico molto intenso. Per ragioni non ancora completamente capite, tale sistema, una magnetar, è soggetto a instabilità della sua configurazione magnetica che porta a emissioni X particolari, sequenze erratiche di burst-X a volte molto intensi, che si sovrappongono a una emissione continua X amplificata dalla superficie. La sorgente è stata rivelata nel 2014 per la prima volta, e occasionalmente si “riaccende”. Ora si è riattivata a metà aprile di quest’anno con una sequenza di decine-centinaia di burst-X che diversi satelliti hanno rivelato. Anche se molti dettagli delle magnetar non sono ancora pienamente compresi, è chiaro che si tratta di energia emessa per un’instabilità di tipo magnetico, che si manifesta con fenomeni impulsivi di emissione X che possono durare qualche secondo e con uno spettro di emissione particolare, troncato alle energie superiori ai 400 keV. Prima del 28 aprile, non erano stati rivelati super-impulsi radio associati a burst-X da nessuna magnetar della nostra galassia. Ora la situazione cambia radicalmente».

Quanti eventi avete rilevato e con quali strumenti, a bordo di Agile?

«Agile intorno al 27-28 aprile ha rivelato decine di burst-X dalla Sgr 1935+2154 che sembrano una sorta di “foresta”, quando li si vede in sequenza temporale. Sembrava un’attività “normale” di magnetar, quando poi c’è stata la rivelazione del super-impulso radio il 28 aprile. A quel punto abbiamo subito verificato il tempo di arrivo dell’impulso radio e fatto la scoperta di un burst-X rivelato dallo strumento Agile molto chiaramente in corrispondenza con il segnale radio. Il burst-X dura circa 0.5 secondi e ha uno spettro relativamente di bassa energia X, con nessuna emissione oltre i 100 keV circa. La scoperta è avvenuta con il rivelatore a raggi X-duri detto “Super-Agile”: uno strumento co-allineato con il rivelatore gamma del satellite Agile. Abbiamo cercato il segnale con altri rivelatori del satellite, il Mini-Calorimetro e l’Anticoincidenza attiva, ma non abbiamo rivelato nessun segnale in coincidenza, come conseguenza dello spettro di emissione del burst-X troncato alle alte energie oltre i 100 keV. Le stelle di neutroni magnetizzate sono quindi in grado di emettere super-impulsi radio di qualche decina di millisecondo in coincidenza con burst-X di un tipo che appare diverso rispetto ai burst-X della cosiddetta “foresta”. Infatti il nuovo burst-X è meno intenso e più soft degli altri, probabilmente prodotto da un meccanismo diverso da quelli della “foresta”».

Il satellite Agile, telescopio spaziale interamente made in Italy, in orbita attorno alla Terra, che ha conseguito risultati scientifici fondamentali, tra cui quello di aver rilevato il primo Frb di origine galattica. Crediti: Asi

Perché la scoperta è particolarmente degna di nota?

«È la prima volta che un burst-X è stato rivelato in coincidenza con un super-impulso radio del tipo Frb, e il fatto che sia stato osservato da una stella di neutroni galattica ci offre una “pistola fumante” riguardo alla natura di alcuni Frb, se non di tutti. Molti problemi rimangono per spiegare l’intera popolazione dei Frb, ma almeno possiamo avere un “aggancio” agli Frb più vicini, e in particolare alla sotto-classe degli Frb che si ripetono nei loro impulsi radio. L’impulso radio viene prodotto da accelerazioni impulsive di elettroni e positroni, e la scoperta di emissione X in simultanea con il radio ci pone di fronte a un fenomeno fisico complesso in cui l’accelerazione impulsiva ha caratteristiche molto interessanti e mai osservate in precedenza. Una “palestra” fondamentale per lo studio dei fenomeni di accelerazione e irraggiamento in oggetti astrofisici estremi. Inoltre, l’energetica del fenomeno è particolare. L’energia emessa nel radio è estremamente intensa per un oggetto galattico: ma se ponessimo la Sgr 1935+2154 a distanze grandi, come quelle di alcuni Frb vicini, l’evento radio sarebbe stato solo marginalmente rivelabile dai radiotelescopi più potenti. In termini assoluti, l’energia dell’impulso radio della Sgr 1935+2152 è solo cento volte inferiore a quella degli Frb vicini. Quindi magnetar più potenti potrebbero emettere impulsi radio più potenti, ed essere dunque assimilabili agli Frb che hanno distanze entro 100-200 megaparsec. È quindi ragionevole pensare che magnetar più potenti della Sgr 1935+2154 possano produrre gli impulsi radio che osserviamo in alcuni Frb vicini. Inoltre, l’emissione X offre la possibilità che burst-X siano rivelabili anche dagli Frb vicini. È questa una possibilità di enorme importanza, che è stata già studiata da Agile per gli Frb vicini e che sarà ancora più importante nei prossimi mesi. Astrofisica delle alte energie e radioastronomia italiane si ritrovano quindi vicine nello studio di questi eventi estremi. È importante notare che in Italia i radiotelescopi della Croce del Nord di Medicina e Srt in Sardegna sono coinvolti in queste settimane in osservazioni di Frb vicini e della Sgr 1935+2152 insieme ad Agile: un ottimo modo per lavorare insieme alla comprensione di questi fenomeni affascinanti».


Per saperne di più:

 

Buon compleanno, Agile!

Il lancio del stallite Agile dalla base di Sriharikota dell’Isro, in India, il 23 aprile 2007. Fonte: M. Tavani et al., A&A, 2009

Oggi, giovedì 23 aprile 2020, il satellite Agile compie 13 anni in orbita. Chi l’avrebbe mai detto? Nato nell’ambito del programma Asi delle Piccole missioni scientifiche nel 1997, il programma Agile ha avuto uno sviluppo quasi decennale fino al perfetto lancio “indiano” del 23 aprile 2007. Ha coinvolto l’Inaf (ex Cnr), l’Infn, diverse università e numerose industrie spaziali nazionali in un’avventura tecnica e scientifica che oggi continua, dopo molti anni di osservazione dei fenomeni più energetici dell’universo.

Agile infatti è dedicato all’astrofisica delle alte energie con una strumentazione all’epoca state-of-the-art che copre le bande di energie degli “X-duri” (20-60 keV), raggi gamma “soft” intorno al MeV, e raggi gamma “veri” da 100 MeV a 30 GeV. Frutto della collaborazione tra astronomia e fisica delle particelle, ha visto i laboratori Cnr prima e poi Inaf insieme con l’Infn lavorare a un progetto interamente italiano di grande rilevanza e, se vogliamo, difficoltà.

Nessuna rete di protezione, nessun agente esterno a fare da management o in grado di assorbire criticità, come avviene quando si lavora con Nasa o Esa. Agile rappresenta la “via italiana” all’astrofisica gamma che sia pure in presenza di potenziali criticità (budget limitato, tradizione di astrofisica gamma tutta da inventare in Italia dopo l’esperienza di astrofisica X di Beppo-Sax) è riuscita a dimostrare la capacità produttiva dei nostri laboratori di ricerca e industrie nel produrre prima e gestire poi una “Piccola missione” spaziale dai risultati a volte sorprendenti.

Francobollo commemorativo del 2009

Di questo siamo molto orgogliosi. Al di là dei successi scientifici di Agile che ormai sono acquisiti, è molto importante vedere ora “in prospettiva” quel che ha funzionato e che può essere considerata l’eredità del progetto data alla comunità: (1) la dimostrazione di capacità di realizzazione e di management di una missione spaziale a budget molto contenuto e che è stata in grado di competere scientificamente con “giganti” con ben altre risorse materiali e di manpower; (2) la formazione e il lavoro scientifico e tecnico di diverse ondate di giovani ricercatori e ingegneri che si sono fatti le ossa con Agile e che ora sono “percolati” nel sistema della ricerca astrofisica (e non solo) italiana con i risultati che tutti vediamo dall’astronomia da terra allo spazio; (3) l’aver coniugato il lavoro dei laboratori scientifici con quelli dell’industria nazionale per produrre e gestire in orbita un satellite competitivo. Il costo contenuto di Agile è frutto di questa strategia, ottenuta con Asi e la volontà di tutti, enti di ricerca e industria. Costituisce un esempio per l’Italia, che si deve muovere su un terreno con nazioni di grandi risorse nel campo scientifico.

Copertina del volume dei “Rendiconti dell’Accademia dei Lincei” dedicato al Symposium per i 10 anni della missione Agile

Il satellite Agile, a parte ovvi effetti del tempo (leggera diminuzione di efficienza dei pannelli solari, range dei cicli della batteria) è non solo vivo e vegeto ma anzi migliora le prestazioni in base alla flessibilità del suo software e programmabilità da terra. L’aumento di sensibilità per transienti su tempi scala sotto il millisecondo del cosiddetto “mini-calorimetro” è un esempio recente. Proprio questo rivelatore è oggi in prima linea per osservare i transienti gamma più veloci dell’universo.

Agile continua dunque a osservare con i suoi occhi al silicio oggetti compatti in galassie lontane e nella nostra Via Lattea: buchi neri super-massivi, stelle di neutroni, transienti peculiari. Ha una predilezione nello studio di fenomeni molto veloci (gamma-ray burst, sorgenti di onde gravitazionali, fast radio burst, lampi gamma terrestri). Il sistema a terra è in grado di fornire allerte alla comunità entro tempi molto rapidi, come si è visto nel caso delle scoperte di emissioni gamma transienti dalla Crab Nebula, Cygnus X-3, i blazar 3C 454.3 e tanti altri. La app per smartphone – AgileScience – è unica nel suo genere e fornisce la mappa del cielo gamma con un ritardo di circa 2 ore dalla rivelazione in orbita. Un record.

Astrofisica e studio della terra sono quindi insieme in un unicum che arriva ora al 13esimo anno di vita in volo. Un adolescente, diremmo… Che Agile continui a esplorare l’universo e ci riservi sorprese ancora più belle.

Guarda il video realizzato da MediaInaf Tv nel 2008, in occasione del primo compleanno di Agile:

 

Magic apre una nuova era nell’astronomia gamma

Rappresentazione artistica di un’esplosione cosmica che origina un lampo di raggi gamma sovrapposta allo scorcio di uno dei due telescopi gemelli Magic. Crediti: Gabriel Pérez Díaz, Iac

Grazie a un lavoro di squadra perfetto, che ha coinvolto telescopi spaziali e sulla Terra nonché centinaia di ricercatori in tutto il mondo, è stato possibile registrare, per la prima volta in assoluto, fotoni di altissima energia emessi da un lampo di raggi gamma (Grb) – il risultato di una potentissima esplosione cosmica –registrato il 14 gennaio 2019. A captare questi fotoni, che hanno raggiunto energie dell’ordine del teraelettronvolt, ovvero migliaia di miliardi di volte più elevate di quelli della luce visibile, sono stati i telescopi gemelli Magic sulle isole Canarie. Fondamentale per la scoperta – della quale avevamo dato un’anticipazione a caldo proprio qui su Media Inaf – è stato il contributo scientifico italiano, con l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale di fisica nucleare, l’Agenzia spaziale italiana e varie università. I risultati vengono pubblicati oggi in due articoli sulla rivista Nature.

Storia breve di Grb 190114C

Il 14 gennaio scorso, come dicevamo, un Grb è stato scoperto in modo indipendente dai telescopi a bordo di due satelliti: il Neil Gehrels Swift Observatory e il Fermi Gamma-ray Space Telescope. «L’evento mostrava una forte emissione sia nei raggi X che in ottico, e questo ci suggeriva si trattasse di un Grb esploso abbastanza vicino e sicuramente interessante», dice Valerio D’Elia dello Space science data center dell’Asi. «L’evento osservato», ricorda Francesco Longo, dell’Università e dell’Infn di Trieste, «è stato chiamato Grb 190114C e le sue coordinate, che ne identificavano la posizione in cielo tra le costellazioni dell’Eridano e della Fornace, sono state distribuite via internet agli astronomi di tutto il mondo in 22 secondi dal rilevamento dell’esplosione».

A ricevere l’allerta c’erano i telescopi a terra – come il telescopio robotico dell’Inaf Rem, situato in Cile, che ha colto l’emissione ottica – e gli scienziati della collaborazione internazionale Magic, che gestisce due telescopi a luce Cherenkov, ognuno con specchio del diametro di 17 m, situati sull’isola di La Palma, alle Canarie (Spagna). I telescopi Magic sono stati concepiti per rispondere rapidamente alle allerte Grb, e inoltre hanno una strategia di follow-up dedicata. «Un sistema automatico elabora in tempo reale le allerte Grb dai satelliti e fa in modo che i telescopi Magic puntino rapidamente la posizione del Grb in cielo», spiega Antonio Stamerra dell’Inaf di Roma, co-portavoce della collaborazione Magic. «I telescopi sono stati progettati per puntare rapidamente, nonostante il peso di 64 tonnellate ciascuno, qualsiasi regione di cielo e possono farlo in poche decine di secondi. Nel caso del Grb 190114C, Magic è stato in grado di iniziare l’osservazione circa 30 secondi dopo l’arrivo dell’allerta Grb da parte dei satelliti, cioè circa 50 secondi dopo la rivelazione del fenomeno».

Dopo il puntamento in direzione del Grb 190114C, i telescopi Magic hanno captato per la prima volta i fotoni di più alta energia mai misurati per questo tipo di eventi celesti. Un risultato senza precedenti, che fornisce nuove informazioni fondamentali per la comprensione dei processi fisici in atto nei Grb. I fotoni rivelati da MAGIC devono infatti avere origine da un processo finora non legato alla radiazione prodotta negli afterglow dei Grb (un’emissione di luce osservabile a tutte le lunghezze d’onda che si affievolisce nel tempo) e che è distinto dal processo fisico responsabile della emissione dei Grb stessi alle energie più basse.

«L’analisi dei dati risultanti per le prime decine di secondi di osservazione rivela l’emissione di fotoni che raggiungono le energie del teraelettronvolt (TeV), cioè un trilione di volte più energetici della luce visibile», dice Alessio Berti dell’Infn di Torino. «Durante questo lasso di tempo, l’emissione di fotoni TeV dal Grb 190114C è stata cento volte più intensa della sorgente celeste più brillante conosciuta a queste energie: la Nebulosa del Granchio. Tra i vari record registrati dal Grb 190114C c’è dunque anche quello di essere la sorgente più brillante di fotoni conosciuta a queste energie». Sebbene l’emissione fino alle energie del TeV nei Grb fosse stata prevista in alcuni studi teorici, essa era rimasta finora inosservata nonostante le numerose ricerche svolte negli ultimi decenni con vari strumenti che lavorano a queste energie, tra cui Magic.

Le tante facce di una potentissima esplosione

I fotoni di altissima energia sono stati osservati da Magic fino a mezz’ora dopo l’esplosione del Grb per cui, grazie sia all’intensità del segnale ricevuto che alla procedura di analisi dei dati in tempo reale disponibile all’osservatorio, è stato possibile comunicare entro poche ore dall’osservazione alla comunità astronomica internazionale la scoperta del primo inequivocabile rilevamento di fotoni di altissima energia da un Grb. Questa comunicazione ha messo in evidenza l’importanza di questo evento astronomico e ha dato luogo a una vasta campagna di osservazioni di follow-up a tutte le lunghezze d’onda del Grb 190114C da parte di oltre due dozzine di osservatori o strumenti dalla banda radio alle energie TeV. In particolare, le osservazioni ottiche hanno consentito una misurazione della distanza dal Grb 190114C di circa 7 miliardi di anni luce.

Grb 190114C visto da terra e dallo spazio. Gabriel Pérez Díaz, Iac

«L’osservazione alle varie lunghezze d’onda, che coprono tutto lo spettro elettromagnetico dal radio ai raggi gamma, è di fondamentale importanza perché i fotoni che arrivano a noi con energie diverse spesso sono emessi da regioni diverse e trasportano informazioni differenti», spiega Marco Tavani dell’Inaf di Roma, responsabile della missione per astronomia gamma Agile, che ha osservato l’evento nell’istante dello scoppio e in quelli immediatamente successivi. «In particolare, poter osservare il fenomeno alle energie più alte è da sempre stato un obiettivo della ricerca in questo settore in quanto i fotoni di più alta energia ci portano informazioni dalle regioni più vicine all’origine del fenomeno».

Tutte le osservazioni effettuate – tra cui quelle degli astronomi dell’Inaf, che con vari telescopi ottici sparsi in giro per il mondo hanno seguito per giorni il fenomeno – offrono una panoramica multifrequenza molto completa per questo evento e forniscono le prove inequivocabili che l’emissione di alta energia osservata da Magic è originata da un ulteriore, distinto processo di emissione nell’afterglow finora mai osservato. «Dalla nostra analisi, il candidato favorito per spiegare l’emissione di altissima energia è il cosiddetto processo di Compton inverso, in cui i fotoni ricevono l’energia osservata da una popolazione di elettroni di energia ancora più alta che sono stati accelerati dall’esplosione», dice Lara Nava dell’Inaf Milano. «Viceversa i fotoni di più bassa energia che si osservano negli afterglow sono originati dal cosiddetto processo di sincrotrone in cui i fotoni osservati sono invece generati dall’interazione tra elettroni e campi magnetici».

Dopo oltre 50 anni dalla prima scoperta dei Grb, molti aspetti di questo fenomeno rimangono ancora misteriosi. Tuttavia, uno studio comparativo di tutte le precedenti osservazioni Grb di Magic suggerisce che Grb 190114C non è stato un evento particolarmente singolare, se non per la sua relativa vicinanza, e che il successo dell’osservazione si deve alle eccellenti prestazioni dello strumento. «Magic ha aperto una nuova finestra per studiare i Grb», osserva Lucio Angelo Antonelli dell’Inaf di Roma, responsabile Inaf presso la collaborazione Magic. «I nostri risultati indicano che siamo sicuramente in grado di rilevare molti più Grb alle energie TeV sia con Magic che con gli strumenti Cherenkov di nuova generazione».


Per saperne di più:

Guarda su MediaInaf Tv la versione italiana del video del MAGIC outreach team:

 

Blazar colto sul fatto: cronaca di un’osservazione

Rappresentazione artistica di un blazar (dall’inglese: blazing quasi-stellar object). Crediti: M. Weiss/CfA

Nel 2007 l’Agenzia spaziale italiana (Asi) – in collaborazione con l’Inaf, l’Infn e altri enti pubblici e privati – lanciò in orbita un cubetto di sessanta centimetri di lato e 85 kg di peso chiamato Agile: Astrorivelatore Gamma a Immagini ultra Leggero. Da allora Agile gira intorno alla Terra per scandagliare il cielo con una “lente” molto particolare: un rivelatore di raggi gamma, onde elettromagnetiche estremamente energetiche che, quando osservate, non lasciano dubbi sull’incredibile violenza dei fenomeni che le hanno generate.

Tra questi fenomeni estremi vi sono i cosiddetti “nuclei galattici attivi” (Agn), ovvero galassie che hanno al centro buchi neri supermassicci e che emettono getti di particelle relativistiche in grado di raggiungere distanze enormi. Gli Agn cambiano nome in base alla posizione che assumono rispetto alla nostra linea di vista: se i getti sono obliqui, li chiameremo “quasar”, se invece sono allineati con la Terra e creano un più criptico alone intorno al nucleo, si tratterà di un “blazar”. A volte questi oggetti mostrano picchi di luminosità e di potenza chiamati flare, che ancora non sono pienamente compresi.

E c’è proprio un blazar – Pks 1830-211, osservato da Agile alla fine di marzo 2019 – all’origine dell’osservazione congiunta Asi-Inaf di cui vi parliamo oggi. A mettere in stato d’allerta il team di Agile è stato un insolito flare, un bagliore improvviso tra i più forti mai osservati sullo stesso oggetto, peraltro già abbastanza monitorato da altri telescopi spaziali, come Fermi o Hubble. Il motivo di tanto interesse risiede nel fatto che una lente gravitazionale – ovvero una fortuita amplificazione dell’immagine del blazar prodotta dalla gravità di una coppia di galassie che si trova in mezzo tra noi e lui – ci consente di carpirne dettagli altrimenti irraggiungibili.

Al vedere un brillamento tanto intenso e insolito, i ricercatori del team Agile dell’Asi hanno ritenuto utile osservare anche in frequenze più basse dei raggi gamma, per poter capire meglio i meccanismi di emissione del blazar. Hanno quindi contattato Noemi Iacolina, loro collega specializzata in radioastronomia con un solido trascorso all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Cagliari e dunque grande conoscitrice e “pilota” del Sardinia Radio Telescope (Srt), inizialmente considerato lo strumento ideale per questo progetto di follow up. In quel momento, però, i ricevitori per questo tipo di osservazione non erano utilizzabili, per cui Srt è entrato in gioco solo in una seconda fase. Nel frattempo è stato attivato un altro radiotelescopio, quello della Stazione di Medicina dell’Istituto di Radioastronomia dell’Inaf di Bologna, più piccolo e datato di Srt ma ancora in ottima forma e, soprattutto, utilizzabile in remoto.

«Pochi giorni dopo aver inviato la proposta di osservazione», racconta Iacolina a Media Inaf, «nel pomeriggio del 15 aprile ho avuto la conferma che c’era la possibilità di osservare l’indomani (la notte tra il 16 e il 17 aprile, ndr), dalle quattro e mezza di notte alle nove e mezza del mattino. Ho dato appuntamento ad Alberto Pellizzoni all’Osservatorio di Cagliari per le quattro, ma il resto della notte l’ho passato a preparare le schedule per il telescopio, quindi non sono mai andata a dormire».

Le osservazioni sono andate bene, anche perché un livello così alto di segnale da questa sorgente non era mai stato osservato in banda radio, confermando l’eccezionalità dei risultati dell’osservazione di Agile. Alle sette di sera del 17 aprile, dopo sole 12 ore dalla fine delle osservazioni, il team di ricerca ha pubblicato un Astronomical Telegram (ATel): una specie di tweet a tema astronomico che, in attesa dei paper scientifici dettagliati, ha lo scopo di informare sulle osservazioni più recenti e mettere in allerta gli astronomi su oggetti interessanti che possono così essere osservati anche dal resto della comunità scientifica.

Su questo aspetto l’astronoma sarda ha idee chiare: «L’Italia ha un grande vantaggio, possiede infatti una serie di strumenti osservativi sia dell’Asi che dell’Inaf, che possono interagire e osservare simultaneamente gli stessi oggetti in varie lunghezze d’onda. Non tutti i paesi europei possono fare altrettanto, per questo sarebbe importante una sempre maggiore sinergia e un forte incoraggiamento di osservazioni di questo tipo che, accanto ai programmi annuali o pluriennali, siano in grado di rispondere ad allerte improvvise e dunque possano portare risultati scientifici assolutamente inediti».

«La vita del radioastronomo non ha orari, perché una sorgente può passarti davanti ed essere visibile per alcune ore indipendentemente dal fatto che sia giorno o che sia notte perché i radiotelescopi captano frequenze diverse da quelle della luce visibile», ricorda infine Iacolina, che essendo anche moglie e mamma di due bambini deve affrontare numerosi sacrifici per gestire lavoro e famiglia. «Devi essere sempre pronto, altrimenti rischi di vanificare mesi di ricerca per una sveglia che suona in ritardo o un telefono silenziato. A casa lo sanno, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, anche perché osservare cose nuove e speciali è il sogno di ogni ricercatore e, dopotutto, vale tutta questa fatica»

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La Crab Nebula va di nuovo a mille

L’emissione della Crab rilevata da Agile. Crediti: Agile Team

La Nebulosa del Granchio continua a stupirci. Dopo diverso tempo di emissione di alta energia “normale”, in questi giorni si è risvegliata e proprio ora sta emettendo in gamma un flusso molto più alto del normale.

Sono i famosi – e misteriosi – “flare gamma” della Crab, probabilmente dovuti a instabilità magnetiche con forte accelerazione di particelle, scoperti nel 2010 da Agile e Fermi, e ora di nuovo in azione.

Il flusso gamma attuale è di 1000 fotoni in unità di 10-8 per cm2 per secondo, quindi la Crab ora è letteralmente “a mille”!

L’immagine è ottenuta con il satellite gamma Agile, e mostra la Crab con un flusso quasi uguale a quello – già fortissimo – della pulsar Vela.

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Un po’ di luce sul mistero dei raggi cosmici

Rappresentazione schematica della produzione di raggi gamma e neutrini dai raggi cosmici. Fonte: Randall Smith & Rob Petre, Msfc/Nasa (https://tinyurl.com/y9gzkt5z)

Da oltre 100 anni sappiamo di essere sotto una pioggia costante di particelle di alta energia. Li chiamiamo raggi cosmici: sappiamo che si tratta per lo più di protoni la cui energia può arrivare a valori molto superiori di quella raggiungibile nei nostri acceleratori più potenti, ma non sappiamo da dove provengano perché il loro cammino è deviato dai campi magnetici (debolissimi, ma estesi su scale cosmiche) che pervadono la galassie e lo spazio intergalattico. In questo modo, i raggi cosmici perdono la memoria della loro sorgente.

Per risolvere il mistero dell’origine dei raggi cosmici occorre trovare degli altri messaggeri che siano strettamente imparentati con loro ma che viaggino indisturbati. I candidati ideali sono i fotoni di alta energia, i raggi gamma, che vengono prodotti dall’interazione delle particelle accelerate con la materia. Si propagano in linea retta e la loro direzione di arrivo ci permette di capire da quale oggetto celeste provengano. Peccato che la natura sia estremamente fantasiosa e riesca a produrre raggi gamma di alta energia utilizzando sia elettroni sia protoni e non sempre è facile capire quale delle due particelle sia coinvolta nel processo.

Per risolvere il problema dei raggi cosmici noi dovremmo essere sicuri che si trattasse di protoni molto energetici. La fisica ci viene in aiuto perché le interazioni dei protoni accelerati producono, oltre ai raggi gamma, anche i neutrini, particelle senza carica e quasi senza massa che non vengono disturbate dai campi magnetici. Rivelare insieme raggi gamma e neutrini permetterebbe di risalire all’oggetto celeste che ha prodotto i raggi cosmici e risolvere il mistero. I neutrini, però, sono delle particelle molto elusive e sono difficilissimi da rivelare. Occorre costruire rivelatori di dimensioni ciclopiche nella speranza che qualche neutrino si faccia “vedere”.

Quando questo avviene, fatti tutti i controlli e ricostruita la direzione di arrivo dalla particella, viene emanata un’allerta neutrino per chiedere a tutti i telescopi di cercare una possibile controparte.  I telescopi spaziali gamma, come Agile e Fermi che spazzano continuamente il cielo, controllano i loro dati mentre i satelliti che devono ripuntare, come Integral e Swift, oppure Magic a terra, cercano di farlo nel più breve tempo possibile. È un esercizio che richiede grande lavoro di coordinazione tra gruppi di scienziati sparsi in tutto il mondo. Bisogna lasciar perdere quello che si sta facendo per correre dietro al neutrino. È da diversi anni che la cosa si ripete ogni due, tre mesi terminando con un nulla di fatto.

Ma i grandi risultati si ottengono con grande perseveranza. E l’allerta del 22 settembre dell’anno scorso si è rivelata diversa dalle altre. Fermi e Agile hanno subito visto una sorgente gamma in stato eccitato. Il rivelatore al suolo Magic ha confermato la presenza di fotoni gamma di altissima energia.

L’accoppiata tra il neutrino del 22 settembre e i raggi gamma punta a una galassia dove sono stati accelerati raggi cosmici. Un risultato importante, ottenuto coniugando le possibilità offerte da due diversi messaggeri. Siamo sulla buona strada per risolvere il mistero dell’origine dei raggi cosmici.

Emissione contemporanea di fotoni e neutrini

Crediti: Nasa/Fermi e Aurore Simonnet, Sonoma State University

Fare l’astronomo non è mai stato così eccitante. L’annuncio dato oggi dalla National Science Foundation a Washington segna la nascita di un nuovo modo di studiare il cielo. Per la prima volta si è visto un oggetto celeste emettere sia fotoni sia neutrini. I fotoni permettono di identificare la sorgente dei neutrini mentre i neutrini svelano i meccanismi fisici alla base dell’emissione dei fotoni e ci indicano la strada per risolvere un altro mistero cosmico.

Si chiama astronomia multimessaggero, appunto perché coniuga diversi messaggeri celesti.  Gli astronomi e i fisici da tempo lavoravano fianco a fianco, ma tutto è giunto a maturità nell’estate del 2017. Un mese dopo l’onda gravitazionale Gw 170817, prodotta dalla fusione di due stelle di neutroni, e studiata dagli astronomi di tutto il mondo, il 22 settembre è stata la volta di Ic-170922A, un neutrino molto energetico rivelato dallo strumento IceCube, che opera immerso nei ghiacci dell’Antartide.

L’energia del neutrino era così alta da fare escludere ogni origine “locale”. Doveva essere di provenienza cosmica. Dal momento che i neutrini viaggiano in linea retta, come i fotoni, IceCube ha lanciato una allerta neutrino chiedendo a tutti i telescopi disponibili di osservare la regione, nella costellazione di Orione, dalla quale era stato visto arrivare il neutrino.  L’allerta era principalmente rivolta ai telescopi gamma che sono operativi in orbita ed al suolo perché i processi fisici che producono neutrini di alta energia, attraverso interazione di protoni molti energetici, devono produrre anche raggi gamma di alta energia. Pur avendo già risposto inutilmente ad altre allerte neutrini, gli astrofisici hanno disciplinatamente attivato i protocolli previsti perché la fortuna aiuta solo che è pronto ad acchiapparla.

Il telescopio Fermi, una missione per studiare il cielo gamma della Nasa alla quale l’Italia partecipa in modo importante attraverso Asi, Inaf e Infn, ha segnalato subito la presenza di una sorgente gamma che appariva più brillante del solito. Si trattava di Txs 0506+056 (i numeri si riferiscono  alle coordinate celesti della sorgente), una galassia attiva già nota, che emette raggi gamma in virtù della presenza di un mostruoso buco nero centrale.

L’attività aumentata della galassia è stata notata anche dal satellite Agile, una missione tutta italiana nata dalla collaborazione di Asi, Inaf e Infn sempre per studiare i raggi gamma. Poi è entrato in azione lo strumento Magic alle Canarie, due enormi specchi capaci di cogliere la luce emessa dalla cascata di particelle prodotte dei fotoni gamma quando entrano nell’atmosfera. Magic ha rivelato fotoni gamma mille volte più energetici di quelli di Fermi.   Una conferma importante che la galassia era chiaramente in uno stato eccitato a seguito di qualche evento accaduto nelle vicinanze del buco nero che aveva fatto aumentare la produzione di energia. Sicuramente erano stati accelerati protoni che poi, scontrandosi , avevano dato origine al flusso di raggi gamma e neutrini, uno solo dei quali è stato rivelato perché stiamo parlando delle particelle più schive dell’Universo che interagiscono pochissimo con la materia. La misura della distanza di Txs 0506+056 ci dice che tutto era avvenuto 4,5 miliardi di anni fa, quando la terra (insieme a tutto il sistema solare) si stavano ancora formando.

Grazie alla coincidenza spaziale tra la direzione di arrivo del neutrino Ic-170922A e la galassia eccitata Txs 0506+056, il 22 settembre 2017 è nata una nuova accoppiata nell’astronomia multimessaggero: neutrini e fotoni. Gli astrofisici italiani, da sempre attivissimi nell’astrofisica delle alte energie, hanno giocato un ruolo di primo piano in questa scoperta che rappresenta anche un passo avanti nella comprensione delle sorgenti dei raggi cosmici, particelle accelerate che studiamo da 100 anni senza, però, riuscire a capire da dove vengano.

Articolo originariamente pubblicato sul Sole 24 Ore

Guarda l’intervista a Patrizia Caraveo su MediaInaf Tv:

Inizia l’era dell’astronomia dei neutrini

In questo rendering artistico, basato su un’immagine reale del laboratorio IceCube al Polo Sud, una sorgente distante emette neutrini rilevati sotto il ghiaccio dai sensori di IceCube chiamati DOM. Crediti: IceCube / Nsf

Per la prima volta, gli scienziati sono riusciti a individuare la possibile sorgente di un neutrino cosmico grazie all’associazione con una sorgente di raggi gamma, cioè fotoni di alta e altissima energia. Si tratta di un blazar, ossia una galassia attiva con un buco nero supermassiccio al centro, distante 4,5 miliardi di anni luce, in direzione della costellazione di Orione. A questo straordinario risultato, pubblicato oggi su Science, i ricercatori sono arrivati combinando i dati del rivelatore di neutrini IceCube, che opera tra i ghiacci del Polo Sud, e altri 15 esperimenti per la rivelazione dei fotoni da terra e nello spazio. L’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), l’Agenzia spaziale italiana (Asi) e varie Università italiane hanno dato contributi determinanti attraverso la partecipazione dei propri ricercatori a molti degli esperimenti e osservatori coinvolti nella scoperta.

Questa osservazione senza precedenti, frutto del lavoro “corale” dell’astronomia multimessaggero, ha fornito anche un solido indizio verso la spiegazione di uno dei maggiori misteri ancora irrisolti: l’origine dei raggi cosmici di altissima energia. I raggi cosmici sono, infatti, composti prevalentemente da protoni, particelle elettricamente cariche che sono quindi deviate dai campi magnetici che permeano lo spazio, impedendoci di risalire alla loro origine. Un aiuto per chiarire questo mistero, che dura da oltre 100 anni, arriva dai neutrini che sono prodotti proprio dai protoni di alta energia. Essendo particelle neutre e con massa piccolissima, i neutrini non vengono deviati dai campi magnetici e interagiscono pochissimo con la materia, dimostrandosi dunque perfetti messaggeri, in grado di portarci diritti alla loro origine.

Nichi D’Amico, presidente dell’Inaf, commenta entusiasta: «Anche in questa scoperta, come nel caso dell’emissione di onde gravitazionali da parte del primo merger di due stelle di neutroni mai osservato, la potenza di fuoco di cui dispone l’Inaf, a tutte le lunghezze d’onda e con strumentazione di avanguardia da terra e dallo spazio, si è dimostrata determinante per rispondere ad alcune delle domande fondamentali per la comprensione dell’universo».

Dal neutrino all’osservazione spaziale e terrestre. Crediti: da un video della National Science Foundation

Una osservazione, molti messaggeri. Era il 22 settembre 2017 quando il rivelatore di neutrini IceCube osservava un interessante neutrino, battezzato poi IC-170922A. Interessante perché la sua energia molto elevata, pari a 290 TeV (teraelettronvolt, mille miliardi di elettronvolt), indicava, con ogni probabilità, che era stato originato da un lontano oggetto celeste molto “attivo”. Poiché, in base alle teorie, la produzione di neutrini cosmici è sempre accompagnata da raggi gamma, quando IceCube ha visto IC-170922A ha subito lanciato un’ “allerta neutrino” a tutti i telescopi, disseminati nello spazio e sulla Terra, nella speranza che le loro osservazioni potessero aiutare a individuarne con precisione la sorgente. E così è stato.

A tal proposito il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana Roberto Battiston ha dichiarato: «Un altro grande risultato dell’astronomia multimessaggero, oltre ai fotoni e alle onde gravitazionali, sorgenti estremamente energetiche nell’universo comunicano  con noi attraverso neutrini di altissima energia. Grazie a questa nuova astronomia l’universo ogni giorno diventa più piccolo e meno sconosciuto, grazie ai sofisticati strumenti a terra e nello spazio sviluppata dai ricercatori di Asi, Inaf e Infn».

Il satellite Fermi, realizzato dalla Nasa e che conta su una importante partecipazione di Asi, Inaf e Infn, osservando con il telescopio Lat i raggi gamma molto energetici provenienti dalla direzione del neutrino, ha trovato un’emissione coincidente con una sorgente di raggi gamma che era in stato “eccitato”. Era il blazar TXS 0506+056: un nucleo galattico attivo, cioè un buco nero supermassiccio al centro di una galassia che espelle un getto di materia relativistica, flussi di particelle e radiazioni energetiche a velocità vicine a quella della luce. Fermi-Lat ha diramato subito l’allerta tramite un ATel, un Telegramma Astronomico come viene chiamato, che ha consentito a tutti gli altri 14 esperimenti di puntare la sorgente. Il satellite italiano Agile, realizzato da Asi con il contributo di Inaf e Infn, ha quindi confermato l’informazione di Fermi-Lat con un altro Telegramma. Anche i telescopi Magic, realizzati e gestiti con il contributo importante di Inaf e Infn, sull’isola di La Palma alle Canarie, che studiano i raggi gamma da terra attraverso la radiazione Cherenkov prodotta dall’interazione dei fotoni gamma provenienti dalle sorgenti celesti con l’atmosfera terrestre, hanno orientato i loro giganteschi specchi verso la sorgente riuscendo, con 12 ore di osservazione, a rivelarla osservandola a un’energia mille volte maggiore di quella di Fermi, fornendo così un altro importante pezzo per il completamento di questa scoperta.

Tra gli esperimenti che studiano i fotoni e che hanno rivelato la sorgente, ci sono anche altri tre satelliti con una significativa partecipazione italiana: Swift, della Nasa, che ha un piccolo campo di vista ma una elevata capacità di ‘girarsi’ per ripuntare velocemente una sorgente improvvisamente ‘eccitata’, NuSTAR, sempre della Nasa, che con i propri telescopi per i raggi X riesce a fare immagini dell’Universo ad alta energia, e Integral, dell’Esa, che non hanno visto la sorgente ma ha fornito un limite superiore alla sua intensità, permettendo agli scienziati di escludere che il neutrino fosse associato a un lampo di raggi gamma (grb, Gamma Ray Burst).

Rendering artistico di un nucleo galattico attivo. Il buco nero supermassiccio al centro del disco di accrescimento invia un getto di materia ad alta energia nello spazio. Crediti: DESY, Science Communication Lab

Grazie alla combinazione di tutte le diverse osservazioni è stato così possibile individuare proprio nel blazar TXS 0506+056, che si trova al cuore di una galassia a una distanza di 4,5 miliardi di anni luce dalla Terra, la probabile sorgente del neutrino. La distanza di tale galassia ospite è stata misurata da un team di ricercatori dell’Inaf di Padova.

L’identificazione della sorgente dei raggi cosmici. Diversamente dal caso delle onde gravitazionali e del violento lampo gamma prodotti nella fusione di due stelle di neutroni, dove l’identificazione della sorgente si basava su una coincidenza temporale molto stretta, l’associazione fra il neutrino di IceCube e la sorgente TXS 0506+056, indicata dal telescopio Lat a bordo di Fermi, si fonda sulla coincidenza di posizione, all’interno di un decimo di grado, la cui affidabilità è stata calcolata basandosi sui dati Fermi-Lat. Per riuscire ad associare IC-170922A con la sorgente TXS 0506+056, il team Fermi-Lat ha dovuto riprodurre l’intero cielo gamma e studiarne la variabilità arrivando a valutare la probabilità di una coincidenza spaziale spuria a meno dell’1%. Un ulteriore indizio viene dall’osservazione da parte di Magic dei fotoni gamma a energie prossime a quelle del neutrino rivelato da IceCube, che rende questa associazione ancora più stringente e permette di avere un quadro più chiaro sull’origine di entrambe le emissioni.

«Questo è un risultato si estrema importanza, – ha sottolineato Fernando Ferroni, presidente dell’Infn – perché innanzitutto conferma la straordinaria potenza di indagine dell’astronomia multimessaggero. Il fatto poi che, in questo caso, sia stato un neutrino a innescare la scoperta conferma il ruolo chiave che questa sfuggente e ancora poco conosciuta particella può giocare nella nostra comprensione dell’universo e, quindi, quanto è fondamentale riuscire a conoscerne a fondo la natura. La rivelazione di IceCube conferma, inoltre, l’efficacia delle nostre strategie di indagine dei neutrini: vale a dire andare, non solo sottoterra come nei Laboratori Infn del Gran Sasso, ma anche sotto i ghiacci e sott’acqua come fa l’esperimento Antares, cui collaboriamo al largo delle coste francesi, e KM3Net, che stiamo realizzando assieme a una collaborazione internazionale in Sicilia. E le osservazioni dei rivelatori di fotoni gamma, come Fermi e Magic, confermano la nostra abilità, scientifica e tecnologica, di indagare il mondo delle particelle elementari con molti diversi strumenti. Infine, ma non ultimo, questo risultato dà un’ulteriore conferma della capacità della fisica italiana di essere protagonista delle grandi imprese scientifiche che si conducono a livello mondiale».

Conclusione. Nel blazar TXS 0506+056 il getto, alimentato dalla materia espulsa dal disco di accrescimento del buco nero nel quale era precipitata, è proprio la regione in cui le osservazioni di onde radio e di raggi gamma ci dicono che vengono accelerate particelle di alta energia. Adesso, che oltre ai raggi gamma abbiamo osservato anche un neutrino molto energetico, possiamo concludere che, oltre agli elettroni (e ai positroni), ci sono sicuramente anche protoni accelerati. Possiamo, inoltre, affermare che, per produrre il neutrino osservato, questi protoni sono sicuramente di energia estremamente elevata. Oltre a testimoniare in maniera chiara la presenza di protoni accelerati, il neutrino IC-170922A ci permette di risolvere, in parte, il mistero rappresentato dai raggi cosmici di energie estreme. Questo straordinario risultato della neonata astronomia multimessaggero conferma dunque la strettissima connessione che sussiste tra i diversi messaggeri cosmici.

Per saperne di più:

Guarda il servizio video sul canale YouTube MediaInaf TV:

Lampi gamma terrestri: Asim pronto al lancio

Asim (Atmosphere-Space Interactions Monitor) dell’ESA è la scatola in basso al centro in questa immagine, installata nel Dragon di SpaceX, in vista del lancio della prossima settimana. Il 2 aprile 2018, il Falcon 9 porterà questo strumento sulla Stazione Spaziale Internazionale per iniziare la sua missione di rilevamento dei Tgf nell’atmosfera. Copyright © 2018 Space Exploration Technologies Corp.

Il 2 aprile partirà dal Kennedy Space Center, a bordo della SpaceX Crs-14 (spacecraft Dragon Crs), il payload Asim (Atmospher Space Interaction Monitor) destinato ad essere installato sulla Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Asim è un progetto internazionale finanziato da Esa, in stretta collaborazione con la Nasa, sviluppato da un consorzio formato da Terma A/S, Technical University of Denmark, University of Bergen, University of Valencia, Polish Academy of Science Space Research Center, and OHB Italia. Il principale obiettivo scientifico della missione Asim è studiare i lampi gamma terrestri (Terrestrial Gamma-ray Flash, Tgf) e gli eventi luminosi transitori (Transient Luminous Events, Tle) che si verificano nella parte superiore dell’atmosfera, sopra i temporali, e la loro possibile correlazione. Per raggiungere tale obiettivo si servirà di due strumenti: uno strumento ottico per osservare i Tle e uno strumento X e Gamma per osservare i Tgf. I due strumenti implementano algoritmi avanzati per l’identificazione di questi eventi e saranno in grado di acquisire sia dati ottici che dati gamma per tutti gli eventi che sono potenziali candidati di Tle/Tgf.

A poche ore dalla partenza della missione, abbiamo fatto il punto della situazione con Martino Marisaldi del Birkeland Centre for Space Science di Bergen, in Norvegia, nonché professore associato al Dipartimento di Fisica e Tecnologia dell’Università di Bergen e associato INAF. Il gruppo in cui lavora Martino, a Bergen, è responsabile dello strumento di alta energia del payload di Asim.

Martino, puoi riassumerci le principali caratteristiche dei Tgf che Asim si propone di studiare?

Martino Marisaldi, del Birkeland Centre for Space Science a Bergen, in Norvegia, nonché professore associato al Dipartimento di Fisica e Tecnologia dell’Università di Bergen e associato INAF.

I lampi gamma terrestri, o Terrestrial Gamma-ray Flash (Tgf) sono intense emissioni di fotoni di alta energia della durata media di circa 100 microsecondi, prodotti negli strati alti delle nubi temporalesche e associati alla produzione di fulmini. L’energia media dei fotoni è di circa 1 mega-elettronvolt (MeV), con energie massime fino a diverse decine di MeV. Sono talmente brillanti che vengono rivelati regolarmente da satelliti in orbita a qualche centinaio di km sopra la superficie terrestre, come Agile, Fermi o Rhessi. Si stima che ne avvengano almeno qualche migliaio al giorno, ma questa stima è limitata dalla sensibilità degli strumenti, quindi non sappiamo ancora se vi sia una popolazione, magari molto numerosa, di eventi troppo deboli per essere rivelati dagli strumenti attualmente in funzione.

Come si formano i Tgf? Ci sono stati progressi, in questi ultimi anni, nella comprensione del fenomeno?

Diciamo che quasi tutti gli studiosi attivi nel campo sono d’accordo sul meccanismo di base, ovvero che i Tgf sono prodotti dall’interazione con l’atmosfera di un grande numero di elettroni relativistici accelerati nei campi elettrici delle nubi temporalesche. Non è chiaro però se questa accelerazione avvenga nei campi elettrici di larga scala interni alla nube, oppure se abbia un ruolo fondamentale la formazione del canale ionizzato associato alla produzione di un fulmine. In particolare, la relazione di causa/effetto fra Tgf e fulmini non è ancora stata chiarita.

Perché si formino quindi deve esserci un temporale al di sotto delle nubi?

In generale sì, anche se sono stati osservati Tgf associati a sistemi di nubi estremamente diversi fra loro, da sistemi molto deboli e poco attivi, fino agli uragani.

Si formano solo nella fascia equatoriale oppure se ne rilevano anche a latitudini maggiori?

La distribuzione geografica dei Tgf segue molto bene quella dei fulmini, che è appunto concentrata nella fascia equatoriale, con una certa variabilità stagionale. Il Tgf a maggiore latitudine osservato fino ad ora ha avuto luogo nel bacino del Mediterraneo, al largo delle coste della Sicilia, ad una latitudine di circa 35 gradi Nord, ed è stato osservato da Rhessi. Questa latitudine però è anche un limite massimo dovuto all’inclinazione delle orbite dei satelliti in grado di osservare questi fenomeni. A latitudini maggiori c’è un’intensa attività temporalesca e nulla vieta che vi siano Tgf associati: semplicemente non è stato possibile osservarli fino ad ora. Questo sarà uno dei punti che la prossima missione Asim potrà chiarire, essendo installata sulla Stazione Spaziale Internazionale, in orbita con un’inclinazione di 51 gradi.

Attualmente con quali strumenti vengono rivelati? Chi li sta osservando e in che modo? Esistono cataloghi, oltre a quello del mini-calorimetro di Agile?

Fino ad ora sono stati osservati da satelliti progettati per fare un lavoro diverso, ovvero osservazioni di astrofisica delle alte energie, come Rhessi, Fermi e la missione Agile dell’Agenzia Spaziale Italiana. Tutte queste tre missioni forniscono cataloghi e ormai sono state osservate e catalogate diverse migliaia di eventi.

Si sono viste correlazioni con emissioni contemporanee e localizzate nello stesso punto, in altre bande dello spettro elettromagnetico?

Sono state osservate associazioni simultanee con le onde radio di bassa e bassissima frequenza (Lf, Vlf e Elf) associate a fulmini e in pochi casi sono state osservate correlazioni con l’emissione ottica associata al riscaldamento del canale ionizzato del fulmine. In particolare, la correlazione con le onde radio di bassa e bassissima frequenza associate ai fulmini è diventata uno strumento fondamentale per localizzare con precisione il Tgf e per capire quando la produzione abbia luogo in relazione alle varie fasi di generazione di un fulmine.

Asim si propone di studiare cosa accade sopra alle nubi temporalesche, per capire se c’è una correlazione tra Tle e Tgf. Che cosa sono i Tle? Come si generano? Ci sono evidenze (osservative e/o teoriche) che supportano questa presunta correlazione?

Un temporale visto dalla ISS. Crediti: ESA/NASA.

I Tle, eventi transienti luminosi, o Transient Luminous Events, sono appunto brevi fenomeni luminosi associati a nubi temporalesche, che hanno luogo tipicamente sopra il limite delle nubi, nella cosiddetta mesosfera e si possono estendere fino alla ionosfera, circa a un centinaio di km sopra la superficie terrestre. Vi sono molti differenti tipi di Tle, prodotti da meccanismi anche molto diversi tra loro. Poco dopo la scoperta di Tle e Tgf, avvenuta all’inizio degli anni 90 del secolo scorso, si riteneva che i due fenomeni fossero correlati, soprattutto poiché si riteneva che i Tgf fossero prodotti sopra le nubi temporalesche. In seguito, è stato dimostrato che i Tgf sono prodotti negli strati interni delle nubi, e l’idea dell’associazione fra Tle e Tgf ha perso sostegno. Di recente però sono stati eseguiti studi teorici che suggeriscono l’associazione fra Tgf e un tipo particolare di Tle, ovvero gli Elves. Sarà interessante vedere se Asim potrà confermare questa associazione.

Con il mini-calorimetro di Agile, e qualche altro strumento ottico, siete riusciti a identificare tale correlazione in qualche caso di quelli riportati nel vostro catalogo? Oppure anche in altre bande, come il radio, ad esempio.

Con il calorimetro di AGILE abbiamo ora parecchie centinaia di associazioni con i fulmini localizzati in banda radio. Questo è stato possibile grazie ad una modifica della configurazione di bordo effettuata nel 2015 che ha permesso di migliorare di 10 volte la frequenza con cui Agile rivela i Tgf, soprattutto per quanto riguarda gli eventi più brevi che hanno una maggiore probabilità di essere associati alle emissioni radio dei fulmini.

La campagna osservativa di ASIM quanto durerà? Sei coinvolto anche tu?

Asim su Columbus (ISS). Asim verrà installato all’esterno del laboratorio spaziale europeo Columbus per monitorare gli eventi elettrici ad alta quota. In questa rappresentazione artistica, Asim è visibile a destra. Crediti: ESA CDF.

Asim è una missione dell’Esa con una vita nominale di due anni, ma speriamo ovviamente che possa essere estesa ulteriormente. Da quando lavoro al Birkeland Centre for Space Science a Bergen, sono profondamente coinvolto nella missione, soprattutto per quanto riguarda la preparazione degli strumenti software necessari all’analisi dei dati, e al successivo sfruttamento scientifico della missione. Dopo il lancio di Agile nel 2007, è la prima volta che sono coinvolto così profondamente in una missione che sta per essere lanciata, e confesso che attendo il momento del lancio con impazienza.

Rispetto ai risultati pubblicati nel 2013, hai scoperto altre cose interessanti? Continui a lavorare su questo tema?

Sì, questo è ancora il campo scientifico in cui sono più attivo e che mi da le maggiori soddisfazioni professionali. Per quanto riguarda Agile, dopo la modifica della configurazione cui ho già accennato, abbiamo ottenuto una mole enorme di osservazioni su cui stiamo ancora lavorando attivamente, sia con il team Agile in Italia, sia con il gruppo di cui faccio parte qui a Bergen. Ed ora, siamo pronti per i dati di Asim.

Per gli interessati sarà possibile seguire lo streaming live del lancio il 2 aprile alle ore 22:30 CET  a questo link http://www.asim.dk/

Agile e IceCube: un neutrino per due?

Mappa in falsi colori dei fotoni gamma osservati da Agile nella direzione di arrivo del neutrino rivelato da IceCube il 31 luglio 2016. Il cerchio nero delimita la zona di cielo all’interno della quale è contenuta con più probabilità la sorgente astrofisica del neutrino, mentre quello bianco racchiude la posizione più probabile della sorgente gamma transiente (AGL J1418+0008) osservata da Agile qualche ora prima dell’evento. Crediti: F. Lucarelli et al. 2017

Era il 31 di luglio del 2016 quando IceCube, il cacciatore di neutrini del Polo Sud, osservava l’evento soprannominato IceCube-160731. Il telescopio spaziale Agile ha dunque puntato i suoi occhi ad alte energie sulla regione di provenienza del neutrino per cercarne una controparte. Le osservazioni sembrano aver individuato un candidato per un segnale precursore, visto da Agile nelle ore precedenti all’arrivo di IceCube-160731. I risultati dell’analisi sono contenuti in un articolo pubblicato di recente su The Astrophysical Journal.

La ricerca delle controparti elettromagnetiche dei neutrini di altissima energia osservati dall’esperimento IceCube è uno dei temi più attuali dell’astrofisica delle particelle e delle alte energie. Finora, non sono state rivelate con sufficiente significatività né sorgenti puntiformi di neutrini né ci sono chiare associazioni degli eventi più energetici con sorgenti elettromagnetiche note. L’identificazione di una chiara sorgente di neutrini potrà fornire la prova inequivocabile di quali sono i siti in cui stanno avvenendo i processi di accelerazione di protoni e ioni ad altissime energie, contribuendo così a risolvere anche l’annoso problema dell’origine dei raggi cosmici. I nuclei galattici attivi di tipo blazar sono tra le sorgenti astrofisiche più accreditate per spiegare l’origine dei neutrini osservati. I processi astrofisici che portano all’emissione di neutrini di altissima energia comportano anche l’emissione di fotoni gamma. L’osservazione di questa emissione, correlata temporalmente e/o spazialmente con il neutrino osservato, può indicare la presenza di una sorgente elettromagnetica associata alla sorgente di neutrini e favorirne la sua identificazione.

Fabrizio Lucarelli, ricercatore dello Space Science Data Center dell’Asi e primo autore dello studio. Crediti: Ssdc-Asi

«La missione italiana Agile, dedicata all’osservazione del cielo gamma, è fortemente impegnata nella ricerca di controparti gamma di onde gravitazionali e di neutrini», ha spiegato Fabrizio Lucarelli dell’Ssdc dell’Asi e dell’Inaf di Roma, primo autore dell’articolo. «Grazie al suo grande campo di vista e alla rapidità nel processare e analizzare i dati acquisiti, Agile è uno strumento particolarmente indicato per la ricerca e rivelazione di sorgenti gamma transienti associate a questo tipo di eventi».

«Il segnale osservato da Agile, della durata di circa un giorno e mezzo, è consistente con la posizione di arrivo del neutrino ricostruita da IceCube e ha il suo picco di intensità circa un giorno prima dell’evento», ha aggiunto Lucarelli. «In questa zona di cielo non ci sono possibili sorgenti note di fotoni gamma che possano essere associate all’emissione di neutrini, né sono stati registrati altri eventi transienti analizzando tutti i dati raccolti nei dieci anni di vita del satellite attorno alla posizione di IceCube-160731».

Utilizzando i cataloghi d’archivio multi-banda accessibili con il tool Ssdc SkyExplorer, i ricercatori hanno trovato anche una possibile controparte elettromagnetica con emissione nella banda radio, ottica e dei raggi X all’interno della regione di cielo che delimita la direzione di origine del neutrino IceCube-160731. Tale sorgente mostra delle caratteristiche elettromagnetiche tipiche dei Blazar di tipo Hbl (“High energy peaked BL Lac”), considerati tra i candidati più probabili dei neutrini di altissima energia nel mirino di IceCube. Ulteriori osservazioni nei raggi X effettuate con il satellite Swift della Nasa, non hanno confermato l’appartenenza di questo possibile candidato alla categoria dei Blazar. La sorgente dell’emissione del neutrino e dei fotoni gamma rimane quindi ancora non identificata.

«Di recente Agile ha identificato un’altra emissione gamma transiente al di sopra dei 100 MeV consistente con la posizione di un nuovo evento IceCube, IceCube-170922, e ne ha dato annuncio alla comunità con un Astronomer’s Telegram», ha continuato Lucarelli. «Le rapide osservazioni di Agile, insieme ad altre osservazioni nella banda gamma e in altre lunghezze d’onda, sono fondamentali per poter identificare con successo la sorgente di questi neutrini cosmici di altissima energia».

«È una ricerca difficile», ha commentato Marco Tavani dell’Inaf di Roma, principal investigator della missione, «ma che deve essere fatta esplorando tutte le possibilità. Siamo ora a un livello ancora iniziale nel preparare la strada all’astronomia dei neutrini del futuro: i prossimi mesi/anni saranno decisivi». Grazie ai dati raccolti da Agile durante i suoi 10 anni di missione, i ricercatori del team potranno approfondire la ricerca di eventuali transienti gamma associati con la posizione dei neutrini di altissima energia osservati finora da IceCube. La rivelazione e l’identificazione di una chiara sorgente per questo tipo di neutrini potrebbe avere le ore contate.

Per saperne di più:

Un istante prima di Ligo, Agile ha visto qualcosa

Il cielo in coordinate galattiche al momento dell’arrivo dell’onda gravitazionale associata all’evento Gw170104. Le zone racchiusa dai contorni in colore “magenta” indicano l’area di possibile provenienza del segnale gravitazionale. La zona colorata in rosso, giallo e verde indica il campo di vista e l’esposizione oltre i 50 MeV (in erg/cm^2/sec) dello strumento gamma del satellite Agile, che copre quindi buona parte della zona “B” e possibilmente anche porzioni degli archi indicati con “A”. Immagine è tratta dall’articolo di Verrecchia et al. spedito alla rivista Astrophysical Journal Letters e ora disponibile in rete su arXiv

La collaborazione Ligo-Virgo ha appena annunciato la rivelazione di un terzo evento confermato di onde gravitazionali, Gw170104. Ora, il sogno di tutti gli astrofisici è quello di cogliere – in concomitanza d’un segnale gravitazionale – un segnale elettromagnetico. La “controparte”, la chiamano.  Riuscirci rappresenterebbe una scoperta storica: sentire e vedere lo stesso evento. Un’impresa difficilissima, forse impossibile: quando due buchi neri fondono l’uno nell’altro, infatti, non è scontato che ci sia qualcosa da vedere, anzi: se trattengono tutto, persino la luce, il catastrofico evento potrebbe increspare per miliardi di anni luce il tessuto dello spaziotempo senza però lasciare la benché minima traccia elettromagnetica. Un’impresa difficilissima ma cruciale: ecco dunque che i team dei principali telescopi spaziali per le alte energie e telescopi da terra, ogni volta che Ligo li avverte d’una potenziale onda gravitazionale, corrono subito a guardare i dati.

Così hanno fatto anche i ricercatori del team del satellite Agile – il telescopio spaziale giusto, nel posto giusto e al momento giusto. Frutto della collaborazione tra l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), Agile è idealmente in grado di poter rivelare fenomeni transienti X e gamma su un campo molto grande, dal diametro di più di 100 gradi. Quando è arrivata l’onda gravitazionale vista da Ligo, il 4 gennaio 2017, Agile si trovava nella posizione giusta per coprire, con il suo imager gamma, addirittura il 40 per cento della zona possibile di provenienza dell’onda gravitazionale (vedi l’immagine qui sopra).

«Abbiamo immediatamente attivato il nostro sistema di analisi rapida dei tre rivelatori di Agile», ricorda Francesco Verrecchia, ricercatore Inaf dell’Osservatorio astronomico di Roma di stanza al Centro dati dell’Asi e primo autore di un articolo inviato ad Astrophysical Journal Letters – al momento, occorre sottolineare, non ancora accettato, ma solo reso pubblico in rete. «Inizialmente non abbiamo rivelato nulla di significativo, sia nella banda X che quella gamma. Abbiamo però continuato ad analizzare a fondo i dati nelle settimane scorse. Abbiamo verificato l’assenza di segnale gamma rivelabile su tempi scala molto brevi (2 secondi, 20 secondi, 200 secondi) ponendo dei limiti molto stringenti sull’emissione gamma oltre i 50 MeV». Tradotto: fin qui nulla, nessun segnale. Tuttavia, aggiunge Verrecchia, «abbiamo poi notato la presenza di un evento debole, ma molto interessante, a ridosso del tempo della coalescenza finale, rivelato con Mcal (il minicalorimetro, uno dei tre strumenti a bordo di agile, ndr). A circa 0.5 secondi prima del tempo dell’evento gravitazionale, Mcal rivela un debole segnale della durata di 30 millisecondi che è stato osservato in passato in altri lampi gamma cosmici brevi (short grb) e che potrebbe essere associato all’evento gravitazionale del 4 gennaio».

«Agile è sempre in allerta, e in questo caso il sistema di acquisizione ha funzionato molto bene. L’emissione  transiente che Mcal ha rivelato a ridosso del tempo di arrivo dell’onda gravitazionale», aggiunge Marco Tavani dell’Inaf Iaps di Roma, responsabile scientifico della missione, «potrebbe essere associata all’evento Gw170104, e la conferma potrebbe venire dalla rivelazione combinata di più satelliti. Ci stiamo avventurando in un territorio inesplorato: i modelli correnti non favoriscono l’emissione gamma associata alla coalescenza di buchi neri di massa di qualche decina di masse solari, ma potrebbero esserci condizioni di materia “vestigiale” attorno a uno o due dei buchi neri, o altre condizioni che favoriscono un’emissione gamma prima della coalescenza finale. Dobbiamo esplorare e accumulare dati anche di eventi deboli, intensificando la sinergia tra più satelliti. L’evento visto da Agile nel caso di Gw1701014, se confermato, aprirebbe un fronte di indagine teorica estremamente interessante».

Già. Se confermato. Ed è un ‘se’ che pesa, in questo risultato che per ora va raccontato tutto al condizionale. A partire dalla sua significatività. La probabilità di occorrenza casuale d’un segnale a ridosso del tempo dell’onda gravitazionale è stimata dal team Agile in 3.4 sigma, tenuto conto delle fluttuazioni statistiche e del tempo di acquisizione dati. «Significa che la probabilità che quel segnale sia finito lì per caso è inferiore allo 0.1 per cento», ricorda Tavani. Dunque molto bassa, anche se non ancora abbastanza, almeno per gli standard della fisica.

C’è poi un altro problema. Il debole segnale, come dice Verrecchia, non è stato individuato subito dal team di Agile, ma solo nel corso di un’analisi approfondita successiva, condotta a seguito della segnalazione da parte della collaborazione Ligo-Virgo. Non è dunque ragionevole supporre che, conducendo un’analisi altrettanto approfondita sul resto dei dati, emergano numerosi altri segnali come questo, indebolendo dunque la possibile correlazione con il segnale di Ligo? «È un dubbio legittimo: è il tema di un capitolo intero dell’articolo, che calcola la cosiddetta post-trial probability: ovvero, la probabilità che tiene conto di quante volte un segnale simile sia visto dal minicalorimetro di Agile, e di quante volte lo abbiamo guardato per poter fare una valutazione post, come oggi si fa in questi casi», spiega Tavani. «Nel nostro caso, la vicinanza temporale all’evento gioca un ruolo fondamentale: abbiamo una detection rate di eventi simili di 1 ogni 10mila secondi, ma il fatto che questo evento sia a 0.5 secondi dal tempo di Ligo rende la cosa interessante».

A questo proposito: il mezzo secondo d’anticipo del segnale visto da Agile rispetto a quello di Ligo non dovrebbe suggerire – se la correlazione fra i due segnali fosse confermata – che le onde gravitazionali viaggiano un po’ più lente della luce? «No, non avrebbe implicazioni sulla velocità di propagazione secondo il nostro schema di Relatività generale, che ci dice che le onde gravitazionali viaggiano con velocità pari a quella della luce. Non abbiamo al momento prove contrarie al riguardo», ribadisce Tavani. Allora come spiegare quel mezzo secondo? «Le condizioni attorno ai due buchi neri possono essere complesse: si può arrivare all’emissione elettromagnetica di un flash prima della coalescenza finale per la presenza di materia residua, che viene sollecitata dall’enorme potenziale gravitazionale dei due buchi neri in avvicinamento sempre più stretto. Il tutto avviene entro qualche decimo di secondo. Agile vede il suo flash circa 0.46 secondi prima dell’atto finale della coalescenza. I dati di Ligo ci dicono che hanno cominciato a rivelare un segnale circa 0.1 secondi prima della fine, quindi Agile vede un segnale 0.34 secondi prima del segnale rivelato da Ligo. Questi tempi sono i tempi di dischi viscosi attorno ai buchi neri, quindi può esserci un fenomeno fisico che anticipa il collasso finale».

Insomma, un’eventuale conferma dell’esistenza di una relazione fra il segnale di Agile e quello visto da Ligo avrebbe implicazioni enormi, rappresenterebbe l’inizio dell’astrofisica di questi oggetti. A questo punto la parola passa agli altri satelliti che quel 4 gennaio erano in grado di cogliere un segnale come quello di Agile. «Ci sono diversi satelliti capaci di vedere un’emissione intorno al MeV, anche se poi le loro orbite, efficienze e altro sono complicate da prevedere: Fermi-GBM, Integral, forse Swift, KONUS-Wind…». E in queste settimane, durante le analisi dati, non c’è stato un confronto? «No, non ci si sente con i team di altri satelliti», risponde Tavani a Media Inaf, «almeno in passato non è successo – che io sappia – per eventi gravitazionali, e non sta succedendo ora. Ognuno è molto impegnato nell’analisi dei dati propri…».

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo “AGILE Observations of the Gravitational Wave Source GW170104”, di F. Verrecchia, M. Tavani, A. Ursi, A. Argan, C. Pittori, I. Donnarumma, A. Bulgarelli, F. Fuschino, C. Labanti, M. Marisaldi, Y. Evangelista, G. Minervini, A. Giuliani, M. Cardillo, F. Longo, F. Lucarelli, P. Munar-Adrover, G. Piano, M. Pilia, V. Fioretti, N. Parmiggiani, A. Trois, E. Del Monte, L.A. Antonelli, G. Barbiellini, P. Caraveo, P.W. Cattaneo, S. Colafrancesco, E. Costa, F. D’Amico, M. Feroci, A. Ferrari, A. Morselli, L. Pacciani, F. Paoletti,
    A. Pellizzoni, P. Picozza, A. Rappoldi e S. Vercellone

Agile, un successo italiano

Da dieci anni il satellite Agile è il nostro occhio sull’universo violento, dove avvengono fenomeni capaci di generare fotoni di energia pari a milioni o miliardi di volte quelli della luce visibile. Frutto della collaborazione tra l’Agenzia spaziale italiana (Asi), l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e l’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), Agile è una piccola missione scientifica tutta italiana che, pur realizzata con un budget modesto, ha dimostrato di saper essere competitiva nel panorama internazionale.

In 10 anni Agile ha fatto più di 50mila volte il giro della Terra, che viene sorvolata a circa 500 km di altezza più o meno sopra l’equatore. A ogni passaggio, quando sorvola la stazione dell’Asi a Malindi, in Kenya, il satellite scarica i dati che ha raccolto e riceve i telecomandi che gli dicono cosa fare nell’orbita successiva. I dati vengono subito spediti in Italia dove vengono processati per permetterci di “vedere” in tempo reale cosa succede nel cielo delle alte energie. L’informazione non rimane patrimonio degli astrofisici: viene subito resa pubblica attraverso la app Agile Science, disponibile su diverse piattaforme. Una volta scaricata la app (che è ovviamente gratuita) si può vedere l’ultima immagine del cielo gamma raccolta da Agile. Paragonando ogni nuova immagine con le precedenti ci si accorge se sta cambiando qualcosa.

Come un’instancabile sentinella Agile ci avvisa quando qualche buco nero addormentato si sveglia improvvisamente trasformando in un faro cosmico una sorgente che prima quasi non si vedeva, oppure quando una vecchia conoscenza comincia a dare segni di irrequietezza. Credere nel proprio sistema di monitoraggio in questi casi è fondamentale per battere l’agguerrita concorrenza internazionale e Agile è spesso arrivato per primo a dare le allerte astronomiche che mettono in moto tutta la comunità. È successo nel settembre 2010 quando si è visto crescere il flusso gamma prodotto dalla Nebulosa del Granchio uno degli oggetti più studiati del cielo delle alte energie.

Il risultato, che ha colto tutti di sorpresa, è valso al gruppo di Agile il prestigioso premio Bruno Rossi da parte della American Astronomical Society. Riconoscimento che ha coronato anni di sforzi di un gruppo fatto da giovani di talento, divisi tra mondo scientifico e industriale, che sono cresciuti insieme al progetto sotto la guida indiscussa di Marco Tavani, la vera forza propulsiva dietro al successo di Agile. Successo che è anche frutto della competenza dell’industria italiana che ha dovuto affrontare e risolvere, insieme ai soliti problemi tecnici, anche delicati problemi politici, diplomatici e commerciali.

Quando è stato deciso che il lancio avrebbe avuto luogo da una base indiana, per esempio, il fornitore americano del Gps di bordo ha intimato di togliere lo strumento, che era già stato integrato nel satellite, perché un oggetto altamente tecnologico made in Usa non poteva nemmeno transitare dall’India. A nulla è valso il richiamo al buon senso, le leggi sull’esportazione americane erano, e sono, rigorosissime. Il Gps americano è stato brillantemente sostituito con uno strumento europeo e il satellite è stato richiuso e spedito in India.

Alla vigilia del lancio un’altra ditta americana che aveva fornito le ruote d’inerzia, quelle che stabilizzano il satellite, ha cominciato ad avere dubbi sull’esportabilità del suo prodotto. Troppo tardi, il satellite era già montato in cima al razzo pronto alla partenza e i fax che chiedevano il rinvio sono stati letti a cose fatte, quando Agile era stato portato elegantemente, e precisamente, nell’orbita che avevamo scelto. Noi eravamo troppo contenti per preoccuparci di questo dettaglio ma, tra i miliardi di documenti portati alla luce da WikiLeaks, anni dopo abbiamo scoperto un carteggio tra ambasciate Usa dove si paventava che il lancio di Agile potesse rovinare i rapporti bilaterali Italia-Usa. Mica male come inizio per il nostro Agile. Il resto è stato ancora meglio e il futuro è pieno di promesse.

Guarda il servizio video su MediaInaf Tv:

La medaglia Matteucci a Marco Tavani dell’Inaf

Il conferimento della Medaglia Matteucci, onorificenza assegnata dall’Accademia Nazionale delle Scienze, detta dei XL, a Marco Tavani, dell’Inaf Iaps di Roma. Crediti: Accademia dei XL

In occasione della cerimonia inaugurale del 235° anno accademico dalla sua fondazione, l’Accademia nazionale delle scienze, detta dei XL, ha assegnato ieri le onorificenze per l’anno 2017: la medaglia dei XL per la Matematica, quella per le Scienze fisiche e naturali e la medaglia Matteucci, che viene conferita per rilevanti contributi al progresso della scienza apportati con opere o scoperte a fisici italiani e stranieri. Della medaglia Matteucci è stato insignito Marco Tavani, dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma, responsabile scientifico della missione spaziale Agile.

Agile è un satellite in orbita dal 2007, ed è l’unica missione scientifica operativa interamente italiana. La collaborazione fra Asi, Infn, Inaf, Cnr e l’industria nazionale ha permesso di costruire strumentazione d’avanguardia che ha consentito la scoperta di emissione gamma transiente dalla nebulosa del Granchio. Per questi dati, di grande rilevanza per l’astrofisica delle alte energie in quanto dimostrano l’esistenza di un meccanismo nuovo di accelerazione di particelle, nel 2102 gli è stato conferito anche il prestigioso premio Bruno Rossi del’American Astronomical Society. Agile si è rivelato uno strumento prezioso anche per lo studio di fenomeni terrestri di alta energia, che ha aperto allo sviluppo di nuove applicazioni in meteorologia e nella sicurezza del volo spaziale.

La commissione, composta dai soci dell’Accademia Paolo De Bernardis, Luciano Maiani e Giorgio Parisi, ha assegnato all’unanimità la medaglia Matteucci per il 2017 a Tavani, motivandolo proprio con la scoperta dell’emissione variabile di raggi gamma dalla Crab Nebula e dal Quasar 3C 545.3, e l’osservazione di raggi gamma originati dal decadimento dei mesoni pi0 nel resto di supernova W44, prima evidenza dei meccanismi di accelerazione dei protoni cosmici

La sala conferenze e biblioteca dell’Accademia dei XL, nella prestigiosa cornice di Villa Torlonia a Roma, presso cui si è svolta la cerimonia di apertuna dell’anno accademico. Crediti: Accademia dei XL

Le medaglie conferite dall’Accademia dei XL costituiscono i primi premi governativi a carattere scientifico concessi nel 1866 dal Regno d’Italia, subito dopo l’unificazione del Paese: con Regio Decreto, il governo incaricava l’allora Società italiana delle scienze di assegnare annualmente le medaglie ad illustri studiosi italiani di scienze matematiche e di scienze fisiche e naturali. Da allora sono stati insigniti delle medaglie alcune tra le più rilevanti personalità scientifiche del nostro Paese. La loro istituzione si deve al fisico Carlo Matteucci – che fu presidente dell’Accademia dal 1866 al 1868 – cosi come a lui si deve l’istituzione della medaglia intitolata a suo nome, e della quale egli volle perpetuare il conferimento con una donazione apposita.

L’Accademia dei XL, ente morale di alta cultura che e gode dell’alto patronato del Presidente della Repubblica, ha sede a Roma, nella prestigiosa cornice di Villa Torlonia, dal 1875, dopo la proclamazione di Roma capitale d’Italia. Nel 1949 ha assunto il nome di “Accademia nazionale dei XL” e nel 1979 ha infine assunto l’attuale denominazione di “Accademia nazionale delle scienze, detta dei XL”.

Nucleo tradizionale di attività dell’Accademia dei XL è la promozione delle conoscenze scientifiche nell’ambito delle scienze matematiche, fisiche e naturali, con particolare riferimento, negli ultimi anni, all’astrofisica, alla geologia, alle scienze della vita, alla chimica e alle biotecnologie, alle diversità biologiche e culturali e all’ambiente, alle basi matematiche e fisiche, informatiche e computazionali della biologia e della genetica molecolare.

Cinquantamila orbite per AGILE

Una schermata della app dedicata al satellite AGILE

Il 19 dicembre 2016, esattamente alle 06:08:53 UTC (+1 in Italia), a pochi mesi dalla data del suo decimo compleanno in orbita, il satellite AGILE ha raggiunto il significativo traguardo delle 50mila orbite terrestri dal giorno del suo lancio, il 23 aprile del 2007.

Il satellite tutto italiano, realizzato da ASI in collaborazione con INAF, INFN e CIFS e le industrie nazionali CGS, Thales-Alenia Space e Telespazio, è dedicato all’astrofisica delle alte energie ed è anche in grado di rivelare fenomeni di alta energia di natura terrestre, quali i super-lampi gamma (TGF) riscontrati nelle regioni equatoriali. È attualmente in prima linea anche nella caccia ad eventuali controparti elettromagnetiche delle onde gravitazionali.

Il piccolo satellite, inizialmente progettato per avere una vita operativa nominale di soli due anni, prosegue la sua missione di esplorazione dell’Universo in raggi gamma con grande efficienza ed ha celebrato il compimento dei suoi 50mila passaggi a circa 500 km di altezza sopra la base ASI di Malindi, in Kenia, osservando un eccezionale evento di origine extragalattica.

Come si può vedere dalla affascinante immagine scaricata dalla app gratuita AGILEScience, che permette a chiunque di seguire in tempo reale le ultime osservazioni del satellite, in questi giorni due buchi neri mostri al centro di due nuclei galattici attivi distanti, CTA 102 e 3C454.3, ma apparentemente vicini nella nostra immagine del cielo, ci hanno regalato uno spettacolare doppio super-flare quasi simultaneo in raggi gamma.

La sorgente CTA 102 in particolare è stata in questi giorni la più luminosa dell’intero cielo gamma, più brillante anche di sorgenti molto più vicine all’interno della nostra galassia, come la pulsar della Vela.

I dati di AGILE raccolti presso la base ASI di Malindi vengono prontamente acquisiti, processati e gestiti dall’SSDC/ASDC, il centro dati multi-missione dell’ASI, distribuiti al sistema di allerta sviluppato dal PI Team INAF di Bologna ed analizzati quotidianamente dai ricercatori del team AGILE presso diversi istituti dell’INAF e presso l’ASDC stesso.

Amarcord spaziale, quando AGILE aveva un anno soltanto (su INAF TV):

Cos’è che ha “sollevato l’onda”? Il ruolo dell’INAF

Una visualizzazione 3D di onde gravitazionali

Una visualizzazione 3D di onde gravitazionali

Con l’annuncio ufficiale della prima rivelazione di un’onda gravitazionale da parte dell’interferometro LIGO (Laser Interferometer Gravitational-Wave Observatory), risultato storico conseguito dalla collaborazione LIGO/Virgo, si apre una nuova era per la ricerca astrofisica, in cui l’Italia con Istituto Nazionale di Astrofisica gioca un ruolo da protagonista a livello mondiale. Da adesso diventa determinante infatti individuare e caratterizzare cosa produce le onde gravitazionali, indagando in ogni banda dello spettro elettromagnetico, dalle onde radio fino ai raggi gamma. Per far questo sono stati già stati avviati importanti programmi osservativi che coinvolgono gruppi di ricerca INAF, supportati da dati raccolti con strumentazione da Terra e dallo spazio. «Quella del gruppo LIGO/Virgo è una scoperta epocale che apre nuovi orizzonti per l’astrofisica e vede il nostro Istituto già proiettato nelle osservazioni delle possibili sorgenti di onde gravitazionali nell’universo» commenta Nicolò D’Amico, presidente dell’INAF.

Il telescopio VST (VLT Survey Telescope). Crediti: A. Tudorica/ESO

Il telescopio VST (VLT Survey Telescope). Crediti: A. Tudorica/ESO

L’allerta inviato da LIGO in seguito al possibile passaggio di un’onda gravitazionale nel settembre scorso, poi confermato, vede il contributo dell’INAF, con telescopi terrestri, nella ricerca della elusiva sorgente che può aver prodotto quel segnale. Grazie a uno specifico accordo con i gruppi di ricerca degli interferometri LIGO e Virgo (quest’ultimo situato a Cascina in provincia di Pisa, un progetto congiunto tra INFN e CNRS), quando un possibile segnale gravitazionale viene rivelato, i ricercatori dell’INAF vengono avvisati e hanno accesso ai dati sulla stima della posizione in cielo da cui proviene l’eventuale onda gravitazionale. Su questa base è stato avviato il progetto INAF “Gravitational Wave Astronomy with the first detections of adLIGO and adVIRGO experiments” il cui principal investigator è Enzo Brocato, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, che dice: «Per l’evento del settembre 2015, il nostro team INAF, che lavora 24 ore su 24 ed è composto da ricercatori di Napoli, Roma, Milano, Urbino, Bologna, Padova, Pisa e Cagliari, è stato in grado di rispondere rapidamente all’ “allerta” e iniziare le osservazioni ai telescopi. Siamo stati tra i primi ad attivare le osservazioni da Terra e abbiamo monitorato circa 100 gradi quadrati con il telescopio VST installato all’Osservatorio di Paranal dell’ESO, sulle Ande cilene. Le nostre prime analisi – prosegue Brocato – sembrano confermare la difficoltà, previste dalla teoria, di individuare nella banda elettromagnetica eventi di coalescenza di due buchi neri. Come sapevamo, scoprire una controparte elettromagnetica astrofisica di un’onda gravitazionale è una ricerca complessa, ma è proprio questo che ci spinge a fare sempre meglio!»

La ricerca oltre alla banda ottica si estende a tutte le lunghezze d’onda dello spettro elettromagnetico: dalle onde radio ai raggi gamma. Per far questo i ricercatori utilizzano anche i telescopi che lavorano nello spazio come Swift (missione NASA con partecipazione di Italia e Regno Unito), che osserva nelle bande della luce ultravioletta, i raggi X e gamma, Fermi (missione NASA con importanti contributi da Italia, Giappone, Francia e Svezia), dedicata allo studio dell’universo nei raggi gamma e la missione tutta italiana AGILE, nelle quali l’INAF ha importanti partecipazioni, portate avanti con il supporto dell’Agenzia Spaziale Italiana.

«Dopo più di cinquant’anni di ricerca, la rivelazione diretta di onde gravitazionali ci permetterà di aprire un nuovo capitolo dell’astrofisica, basato su una nuova tecnica osservativa mai sfruttata in precedenza» dice Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana. «In questo ambito gli esperimenti spaziali giocheranno un ruolo decisivo sia contribuendo a localizzare le sorgenti gravitazionali per mezzo di segnali luminosi (raggi X e raggi gamma) sia realizzando interferometri come quelli realizzati a terra ma milioni di volte più grandi e sensibili, posti nello spazio, strumenti di cui l’esperimento Lisa Pathfinder recentemente messo in orbita con l’ultimo lancio del Vega è il precursore».

Il satellite INTEGRAL dell'Agenzia Spaziale Europea. Crediti: ESA

Il satellite INTEGRAL dell’Agenzia Spaziale Europea. Crediti: ESA

Tra i ricercatori dell’INAF che sono coinvolti nella ricerca di sorgenti di onde gravitazionali con missioni spaziali, c’è anche il team di INTEGRAL, satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per l’astrofisica nei raggi X e gamma. «INTEGRAL viene costantemente allertato in tempo reale dai colleghi di LIGO quando rivelano l’arrivo sulla terra di segnali gravitazionali, come nel caso dell’evento del settembre scorso» dice Pietro Ubertini, direttore dell’INAF-IAPS e responsabile del gruppo italiano per la ricerca delle sorgenti di onde gravitazionali con INTEGRAL. «L’esperimento LIGO ha rivelato un segnale gravitazionale di notevole intensità ma non è stato in grado di decifrare la direzione di arrivo. Quindi nulla sappiamo sulla sorgente cosmica che ha causato questa collisione tra buchi neri, né dove sia esattamente nel cielo: una galassia gigante? due buchi neri isolati che viaggiano nello spazio? E’ quanto cerchiamo di scoprire anche con INTEGRAL, grazie al suo grande campo di vista ed elevata sensibilità».

Guarda su INAF-TV l’intervista a Enzo Brocato:

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Sigillo d’Argento per Barbiellini Amidei

BarbielliniAmidei1La Presidente della Provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat, ha conferito il Sigillo d’argento al professor Guido Barbiellini Amidei, già professore ordinario di Fisica generale presso il Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi Trieste, personalità scientifica di spicco nel campo della fisica delle particelle elementari e in quello dell’astrofisica della radiazione cosmica di alta energia.

«Come ogni anno in occasione di Trieste Next, salone europeo della Ricerca, la Provincia di Trieste conferisce il Sigillo dell’Ente ad una personalità che si è distinta nel campo delle scienze» ha detto Maria Teresa Bassa Poropat. «Barbiellini Amidei con la sua attività accademica e di ricerca, ha raggiunto risultati di assoluta eccellenza nel campo della fisica – ha aggiunto – valorizzando e promuovendo anche a livello internazionale l’importante tradizione scientifica della città di Trieste e del territorio».

«Ho trovato a Trieste un terreno ricchissimo sotto il profilo scientifico – ha commentato lo stesso Barbiellini Amidei – con personalità eccezionali quali Margherita Hack e Paolo Budinich e una rete di centri di ricerca di assoluta eccellenza».

«Esiste una qualità umana non facile da descrivere nella personalità e professionalità del professor Barbiellini Amidei – ha quindi aggiunto il professor Andrea Vacchi, Presidente della Fondazione internazionale Trieste per il progresso e la libertà delle scienze – parlo di capacità di ascolto, di grande e disinteressata disponibilità, di una generosità nell’operare e nel dedicare tempo cui troppo facilmente ci si abitua, del promuovere e vedere avanzare i collaboratori con lo spirito con cui un padre osserva i propri figli crescere e affermarsi». Il professor Vacchi ha quindi rammentato i risultati scientifici conseguiti da Barbiellini Amidei nel settore dell’astrofisica delle particelle, «risultati che hanno portato a un reale progresso della conoscenza e che hanno aperto la via a nuove ricerche».BarbielliniAmidei

Queste le motivazioni con le quali è stato conferito il Sigillo
• per il pluriennale impegno nel campo delle scienze contraddistinto da risultati di riconosciuta eccellenza testimoniati dalla sua carriera accademica nonché dagli importanti incarichi svolti nei più prestigiosi enti scientifici di livello mondiale, quali l’Electrosynchroton of Cambridge (Usa), il Cern di Ginevra, il Desy-Deutsches Elektronen Synchrotron di cui è stato anche membro del Comitato di Politica Scientifica, lo Slac-Stanford Linear Accelerator Center dell’Università di Stanford negli Stati Uniti, il Politecnico di Francia di cui è membro del Comitato Scientifico e l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare con cui attivamente collabora nella sezione di Trieste;
• per la dedizione e l’impegno profuso a favore dei giovani nei lunghi anni di insegnamento svolto ai massimi livelli prima all’Università degli Studi di Roma e poi dal 1987 all’Ateneo triestino;
• per i riconoscimenti e le benemerenze ricevute e la partecipazione a progetti di rilevanza mondiale quali, fra gli altri, Wizard per la fisica dei raggi cosmici, Glast (ora Fermi), telescopio mandato in orbita dalla Nasa ed è Co-PI del satellite dell’ASI Agile, per lo studio dei raggi gamma;
• per aver contribuito con le sue opere e azioni allo sviluppo della fisica a Trieste valorizzando e promuovendo l’importante tradizione scientifica triestina contraddistinta dalla presenza di numerosi centri di ricerca di eccellenza oltreché dell’Università degli Studi di Trieste.

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Una sorgente X/gamma 50 volte più energetica

Ginga50 volte più potente delle più energetiche sorgenti di raggi X e Gamma mai registrate come la pulsar Crab o il buco nero Cygnus X-1 (vedi Media INAF).

Si tratta della sorgente binaria transiente denominata GS2023+338, dal nome del satellite giapponese GINGA che la scoprì 25 anni fa e che si è improvvisamente risvegliata. E’ formata da V404 Cygni, una stella di tipo K0IV simile al nostro Sole, e da un buco nero di notevoli dimensioni, circa 10 masse solari.

La settimana scorsa il satellite Swift ha inviato un allerta a tutta la comunità scientifica avendo rivelato un aumento della luminosità nei raggi X da un punto del cielo normalmente buio.

Da quel momento la luminosità’ della sorgente è aumentata in tutte le bande di emissione raggiungendo una brillantezza 50 volte superiore a quella della Crab, nella banda dei raggi X/gamma, come dimostrato da INTEGRAL con l’osservazione iniziata il 17 giugno. I risultati preliminari sono stati già annunciati attraverso Telegrammi Astronomici (ATEL).

Le misure fatte da INTEGRAL, l’osservatorio spaziale dall’ESA in orbita dal 2002, dimostrano che questo evento è unico e tutti i satelliti astronomici in orbita (da Chandra ad AGILE passando per Fermi e XMM) stanno modificando i loro programmi osservativi a brevissima scadenza per osservarne l’evoluzione. INTEGRAL è tra gli osservatori spaziali in orbita il solo in grado di fare spettroscopia gamma di alta risoluzione.

Questo sistema binario è composto da una stellina di piccola massa, molto simile al nostro sole: V404 Cygni che ha come stella compagna un buco nero di circa 10 masse solari. L’energia generata dalla massa “strappata” dal buco nero alla piccola stella compagna è sufficiente a distruggere qualunque forma biologica su eventuali pianeti presenti nel sistema binario: un destino molto diverso da quello del nostro sistema solare, non “molestato” dalla presenza di buchi neri!

Crab Nebula

Crab Nebula

Una sorgente X/gamma 50 volte più energetica

Ginga50 volte più potente delle più energetiche sorgenti di raggi X e Gamma mai registrate come la pulsar Crab o il buco nero Cygnus X-1 (vedi Media INAF).

Si tratta della sorgente binaria transiente denominata GS2023+338, dal nome del satellite giapponese GINGA che la scoprì 25 anni fa e che si è improvvisamente risvegliata. E’ formata da V404 Cygni, una stella di tipo K0IV simile al nostro Sole, e da un buco nero di notevoli dimensioni, circa 10 masse solari.

La settimana scorsa il satellite Swift ha inviato un allerta a tutta la comunità scientifica avendo rivelato un aumento della luminosità nei raggi X da un punto del cielo normalmente buio.

Da quel momento la luminosità’ della sorgente è aumentata in tutte le bande di emissione raggiungendo una brillantezza 50 volte superiore a quella della Crab, nella banda dei raggi X/gamma, come dimostrato da INTEGRAL con l’osservazione iniziata il 17 giugno. I risultati preliminari sono stati già annunciati attraverso Telegrammi Astronomici (ATEL).

Le misure fatte da INTEGRAL, l’osservatorio spaziale dall’ESA in orbita dal 2002, dimostrano che questo evento è unico e tutti i satelliti astronomici in orbita (da Chandra ad AGILE passando per Fermi e XMM) stanno modificando i loro programmi osservativi a brevissima scadenza per osservarne l’evoluzione. INTEGRAL è tra gli osservatori spaziali in orbita il solo in grado di fare spettroscopia gamma di alta risoluzione.

Questo sistema binario è composto da una stellina di piccola massa, molto simile al nostro sole: V404 Cygni che ha come stella compagna un buco nero di circa 10 masse solari. L’energia generata dalla massa “strappata” dal buco nero alla piccola stella compagna è sufficiente a distruggere qualunque forma biologica su eventuali pianeti presenti nel sistema binario: un destino molto diverso da quello del nostro sistema solare, non “molestato” dalla presenza di buchi neri!

Crab Nebula

Crab Nebula

Fonte: Media INAF | Scritto da Pietro Ubertini

Il cielo gamma di AGILE

grb tavaniIl cielo gamma di AGILE di oggi… E’ un’immagine inconsueta quella che Media INAF vi propone: un bellissimo flare gamma visto dal quasar 3C 279, nostra vecchia conoscenza, che sta avendo attività monitorata ora da tutti i principali telescopi. Il flare gamma è stato rilevato anche dallo strumento LAT del satellite NASA Fermi anche se ad una energia maggiore.

L’ultimo flare simile nel periodo 2013-2014 ha praticamente distrutto le teorie che avevamo sull’emissione da getti in buchi neri supermassivi, o quanto meno ha fatto vedere che ci sono diversi modi di emissione gamma non previsti fino a poco tempo fa.

Stiamo lavorando alla teoria dei getti alla luce dei dati di 3C 279, nel frattempo vediamo questo flare come si sviluppa.

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Tavani

Otto anni AGILE

agile1Non finisce mai di stupirci: la sua vita operativa prevista inizialmente era di due anni, oggi invece festeggia ben otto compleanni. È il satellite scientifico italiano AGILE  (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero) dell’Agenzia Spaziale Italiana, frutto della collaborazione con INAF e INFN.

Lanciato il 23 aprile 2007 dalla base di Sriharikota a bordo del vettore indiano PLSV, il satellite veniva inserito in un’orbita bassa – a circa 530 Km – sul piano equatoriale terrestre, iniziando così la sua avventura. In questi anni AGILE ha compiuto più di 41300 orbite attorno alla Terra ed ha effettuato tantissime osservazioni astronomiche del cielo sia ai raggi X che ai raggi γ.  Il centro di elaborazione dati ASDC (ASI Scientific Data Center) ha provveduto a renderle disponibili alla comunità scientifica nazionale e internazionale e, successivamente, a gestirne il catalogo.

Le scoperte scientifiche effettuate dal satellite AGILE sono state numerosissime: dall’origine dei lampi gamma cosmici, alle sorgenti sul disco galattico non identificate, ai nuclei galattici attivi. Il cuore del satellite è un rivelatore gamma di nuova generazione, naturale conseguenza dell’evoluzione dei rivelatori dedicati a esperimenti di fisica delle particelle elementari, prodotto della collaborazione tra diversi laboratori dedicati ad attività spaziali e di fisica delle particelle. In otto anni di vita, il satellite AGILE ha acquisito la mappa completa del cielo osservato nella radiazione gamma. Inoltre ha esplorato la nostra Galassia, rivelando varie sorgenti galattiche soggette a cambiamenti molto rapidi e frequenti episodi di emissione X provenienti da molte stelle di neutroni e buchi neri.

Il satellite ha poi registrato, il 23 settembre 2010, alcune gigantesche emissioni gamma prodotte intorno alla stella di neutroni in rapida rotazione intorno al proprio asse al centro della Nebulosa del Granchio (Crab), una delle sorgenti più brillanti del cielo nello spettro X e gamma che si pensava fosse costante nel tempo. Per questa scoperta, nel 2012, il prestigiosissimo premio scientifico “Bruno Rossi” è stato assegnato dalla High Energy Astrophisics Division dell’American Astronomical Society (AAS) alla missione AGILE e al suo responsabile scientifico, Marco Tavani dell’INAF di Roma e P.I. di AGILE.

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Ritorno di fiamma per Crazy Diamond

La visione d'insieme del cielo nei raggi gamma osservato da AGILE qualche giorno fa. In basso a sinistra, è visibile la zona da dove proviene la potente emissione associata al buco nero supermassivo nel quasar 3C 454.3. Per confronto, sulla destra dell'immagine è indicata l'emissione della pulsar Vela. Crediti: A. Bulgarelli, AGILE Team

La visione d’insieme del cielo nei raggi gamma osservato da AGILE qualche giorno fa. In basso a sinistra, è visibile la zona da dove proviene la potente emissione associata al buco nero supermassivo nel quasar 3C 454.3. Per confronto, sulla destra è indicata l’emissione della pulsar Vela. Crediti: A. Bulgarelli, AGILE Team

Il buco nero supermassiccio al centro del quasar 3C 454.3, distante oltre 7 miliardi di anni luce da noi, torna prepotentemente a far parlare di se. Il suo flusso di radiazione gamma registrato negli ultimi giorni dai satelliti AGILE dell’Agenzia Spaziale Italiana e Fermi della NASA è infatti cresciuto negli ultimi giorni al punto di renderlo la sorgente di raggi gamma più intensa del cielo. Gli scienziati stanno seguendo l’evoluzione del fenomeno e sono riusciti a stimare l’enorme quantità di energia associata al getto di materia espulsa dal buco nero ad altissima velocità. Il Crazy Diamond, come lo hanno ribattezzato amichevolmente gli astrofisici, è ora talmente potente che sta ‘bruciando’ materia nei paraggi del buco nero ad un ritmo equivalente alla massa di diverse Terre al minuto. Un pantagruelico assorbimento di energia nel buco nero che si trasforma in un getto espulso con enorme energia cinetica che poi viene dissipata in radiazione elettromagnetica.
Come tali oggetti riescano a produrre fenomeni così energetici è uno dei problemi aperti dell’astrofisica. In questi ultimi anni, il Crazy Diamond ha mostrato molte facce di tale processo. Già rivelato nella banda gamma di energia in uno stato intermedio dall’osservatorio della NASA GRO negli anni ’90, è poi passato dalla quiete a stati estremamente alti di emissione. Recentemente, la prima rivelazione con strumenti al silicio è del satellite AGILE nel mese di luglio 2007 che poi ha continuato a monitorarlo negli anni seguenti insieme al satellite Fermi. Ambedue i satelliti per l’astrofisica delle alte energie hanno colto nel 2009 ma soprattutto nel mese di novembre 2010 un periodo di emissione gamma estremamente intensa dal Crazy Diamond arrivato a superare di ben 6-7 volte la sorgente gamma di riferimento, ovvero la pulsar Vela. In questi giorni il buco nero si è risvegliato tornando a livelli molto alti, superando la pulsar Vela, forse un preludio ad un’emissione ancora maggiore.

“Un po’ tutto il mondo lo sta guardando e ovviamente anche il satellite AGILE, ora pienamente operativo nella sua modalità spinning, che copre nel suo monitoraggio circa l’80% del cielo ogni giorno” dice Marco Tavani, dell’INAF-IAPS di Roma, responsabile scientifico di AGILE. “Sicuramente ci saranno delle sorprese. L’interpretazione teorica dell’attività registrata nel 2010 si sta rivelando estremamente interessante, dimostrando che la materia espulsa dal buco nero sotto forma di ‘grumi’ o ‘plasmoidi’ sia molto più longeva ed energetica di quanto supposto in precedenza nel suo viaggio lungo il getto. C’è ora molta attesa per quest’ultimo episodio: ricalcherà i livelli massimi raggiunti nel 2010 oppure si attesterà a valori inferiori? L’emissione sarà simile a quella considerata dai modelli teorici oppure sarà diversa ?”

Sia AGILE che Fermi continuano a seguire il famelico Crazy Diamond, insieme a molti altri osservatori, da Terra e dallo spazio, pronti a cogliere ogni dettaglio di questo eccezionale fenomeno astrofisico. “In questi ultimi anni si è fatta avanti l’idea – ha dichiarato il prof. Roberto Battiston, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana – che la chiave per comprendere il comportamento di questi straordinari “mostri” celesti sia nella cosiddetta Multi Wavelength Astronomy, la combinazione cioè di osservazioni che coprono un grandissimo intervallo di lunghezze d’onda della radiazione elettromagnetica (dalle frazioni di metro delle sorgenti radio fino ai raggi gamma le cui lunghezze d’onda sono paragonabili alle dimensioni del nucleo atomico). Ed è proprio su questo che l’ASI ha puntato, indirizzando le attività del suo centro dati ASDC e operando il satellite AGILE, che copre una larga parte di questo intervallo di lunghezze d’onda”.
“L’allerta data da AGILE sull’incremento dell’attività del quasar 3C 454.3 è un successo di tutta la comunità scientifica, che ha fortemente voluto la prosecuzione della missione AGILE per tutto il 2014 e, si spera, anche dopo”, sottolinea Aldo Morselli, ricercatore INFN che lavora sia ad AGILE che a Fermi. “AGILE è un progetto tutto italiano, e il nostro Paese si trova ora nell’invidiata posizione di partecipare ai due più importanti esperimenti per la rilevazione di raggi gamma nello spazio, che stanno entrambi dando risultati oltre le più rosee aspettative”, conclude Morselli.

In questi giorni il fenomeno è stato seguito in diretta anche dal grande pubblico grazie alla App AGILEScience (scaricabile gratuitamente dall’iTunes store). Dalla App è possibile seguire in diretta il cielo visto da AGILE aggiornato ogni 3-4 ore. Per permettere al pubblico di comprendere il fenomeno durante la sua evoluzione sono state inviate notifiche push (allarmi agli utenti della App che compaiono nella schermata di blocco del cellulare) per indicare i momenti salienti dell’evento.

Per saperne di più:

  • Il comunicato stampa congiunto INAF-ASI-INFN
  • VIDEO: il cielo gamma in coordinate galattiche come rivelato da AGILE con integrazioni di 2 giorni a partire da aprile 2014. Crediti: Andrea Bulgarelli (INAF-IASF Bologna), Team AGILE
  • VIDEO: evoluzione nel tempo del flusso di energia emesso del Buco Nero 3C 454.3, ottenuto combinando tutti i dati di archivio in varie bande di energia che sono disponibili e pubblicamente accessibili all’ASI Science Data Center (ASDC), centro multimissione dell’Agenzia Spaziale Italiana dove è basato anche il centro dati del satellite AGILE. Crediti: Paolo Giommi, ASI-ASDC.

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani

Airpress mette lo spazio in Difesa

ippNon sarà facile cambiare rotta per il nuovo management dell’ASI. Il sistema di governance degli ultimi anni che ha prodotto un deciso cambio di rotta a favore di politiche spaziali decisamente orientate alla difesa, facendo crollare, nell’ambito delle ristrettezze imposte dalla crisi, dal 14 al 3%, la parte dedicata alla cosiddetta ricerca di base, ha non pochi sostenitori.

Tra questi il nuovo AIRPRESS, la rivista nata nel 1965 e che, ceduta dal gruppo Abete e acquisita da Base per Altezza, società che pubblica Formiche, il mensile fondato nel 2004 da Paolo Messa, è diventata da settimanale a mensile.

Nel numero di Aprile che ha accompagnato la tavola rotonda organizzata al Tempio di Adriano a Roma, il mensile ci illustra come il fulcro, passato e futuro, dello spazio sia la Difesa, in alcuni casi mostrando una insufficiente conoscenza della storia dello spazio italiano. E stride il citare, peraltro giustamente, il satellite AGILE, come successo della ricerca spaziale, in un contesto in cui il programma dello spazio italiano sia rappresentato esclusivamente dal sistema di Osservazione della Terra Cosmo SkyMed o al limite anche dal vettore Vega.

AGILE viene sventolato come il gagliardetto testimoniante che l’ASI fa anche ricerca astrofisica. Quello stesso satellite che se continua ad essere operativo non è certo per l’ultima gestione dell’ASI, ma piuttosto per la sensibilità del commissario Sandulli che ha risposto all’appello del presidente dell’INAF.

Ma poco importa, perché leggendo il mensile o ascoltando le lunghe dissertazioni degli AD di Thales Alenia Space e Telespazio alla presentazione della rivista, apprendiamo che prioritario è saldare i conti per Cosmo SkyMed seconda generazione, che l’Osservazione della Terra, duale, e il sistema difesa sono la spina dorsale dello spazio italiano e devono continuare ad esserlo. E quindi non si affidi, come in passato, ad un accademico la guida dell’ASI che anzi dovrebbe uscire dal controllo del MIUR per passare sotto la Presidenza del Consiglio.

Personalmente credo che il futuro dello spazio italiano debba essere rappresentato sia da Cosmo SkyMed, da Vega, dalla difesa che dalla ricerca astrofisica. In un sapiente mix che guardi al futuro da più punti di vista. E non è un caso che programmi come Cosmo SkyMed, Vega, Galileo, l’accordo sulla partecipazione dell’ASI alla ISS e i voli per i nostri astronauti, siano nati nella seconda metà degli anni novanta, quando alla guida c’era un accademico e si investiva il 20% del bilancio dell’ASI in ricerca di base.

È come la salsa per condire la pasta, un sapiente insieme di diversi ingredienti. E in effetti la descrizione dell’amatriciana nella rubrica Foodforflight di AIRPRESS non sembra così sapiente.

Fonte: Media INAF | Scritto da Francesco Rea

Nuova vita per AGILE

Quello che si vede è l'immagine del cielo che si "popola" di fotoni gamma (ogni puntino è un fotone) man mano che il tempo passa e il satellite continua il suo spazzolamento sistematico di buona parte del cielo. I dati sono stati raccolti dalla base ASI di Malindi in Kenya e trasmessi in Italia per l'analisi. La striscia che diventa sempre più evidente è il piano della nostra galassia (che è una brillante sorgente di raggi gamma). Alla fine una visione in falsi colori dell'immagine del cielo gamma raccolta nel primo giorno di osservazione

Quello che si vede è l’immagine del cielo che si “popola” di fotoni gamma (ogni puntino è un fotone) man mano che il tempo passa e il satellite continua il suo spazzolamento sistematico di buona parte del cielo. I dati sono stati raccolti dalla base ASI di Malindi in Kenya e trasmessi in Italia per l’analisi.
La striscia che diventa sempre più evidente è il piano della nostra galassia (che è una brillante sorgente di raggi gamma). Alla fine una visione in falsi colori dell’immagine del cielo gamma raccolta nel primo giorno di osservazione

Ancora 12 mesi. È quanto ha deciso l’Agenzia Spaziale Italiana in riferimento alle attività scientifiche del satellite AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero) che, giunto al suo settimo anno di vita, aveva rischiato un arresto improvviso per la chiusura dei rubinetti da parte dell’ASI, gestione precommissariale. Una gestione che, per varie ragioni, aveva portato a un taglio ripetuto degli investimenti per i progetti scientifici, passando in pochi anni dal 14% al 3% del proprio bilancio riservato a questo ambito, extra ESA.

AGILE è incappato in questa crisi di investimenti, sebbene, alla vigilia del compimento del suo settimo anno di vita, sia ancora pienamente efficiente. Tanto da poter proseguire il suo percorso alla ricerca delle alte energie nell’Universo. Ne è convinto il Mission Board del programma che ha valutato  positivamente la prosecuzione delle attività operative del satellite.

Soddisfatto si è detto il presidente dell’INAF Giovanni Bignami “per il ripensamento dell’Agenzia Spaziale Italiana e per la sensibilità mostrata dal Commissario Straordinario Sandulli nel valutare il problema e per la conseguente decisione di prolungare di un anno le attività collegate all’uso del satellite Agile”. “L’augurio – ha continuato il Presidente dell’INAF – è che a questa decisione segua anche quella riguardante la base ASI di Malindi, in Kenya, la cui antenna, ora fuori servizio, è fondamentale per lo sfruttamento pieno delle potenzialità di AGILE“.

Secondo quanto detto dalla Responsabile Osservazione dell’Universo dell’ente spaziale nazionale, Barbara Negri, “la ripresa della piena operatività di AGILE ha implicato anche un più intenso coinvolgimento della Stazione di Terra  della missione, il Broglio Space Centre (PSC) dell’ASI presso Malindi, dove il numero di contatti giornalieri è stato adeguatamente incrementato mediante l’utilizzo di entrambe le antenne in banda S presenti nel centro”.

Il che dovrebbe auspicabilmente permettere la copertura dei passaggi di AGILE dalla Base di Malindi.

Lanciato nel 2007, AGILE è frutto della collaborazione tra ASI, INAF, INFN, CNR e l’industria italiana. Un ruolo fondamentale nel programma è quello dell’ASI Science Data Center (ASDC), che gestisce tutte le attività di archiviazione, processamento e distribuzione dei dati scientifici, e rende disponibile il software per l’analisi dei dati. La base ASI di Malindi in Kenya è l’unica stazione di terra della missione.
Il satellite ha acquisito la mappa completa del cielo osservato nella radiazione gamma, ha esplorato la nostra Galassia, rivelando varie sorgenti galattiche soggette a cambiamenti molto rapidi (1-2 giorni di durata) e frequenti episodi di emissione X “spasmodica” provenienti da molte stelle di neutroni e buchi neri.
E proprio in questi giorni è stato pubblicato il paper sul catalogo dei TGF rivelati da AGILE, di cui primo autore è Martino Marisaldi dell’Istituto di fisica spaziale di Bologna dell’INAF. Associato al paper il catalogo disponibile pubblicamente su ASDC

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Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga

La WIA premia Patrizia Caraveo

caraveo-napolitano“Una carriera eccezionale caratterizzata da idee brillanti, forte determinazione, duro lavoro e soprattutto una vera passione per le missioni spaziali nell’ambito della ricerca sulle alte energie dell’Universo”. Recita così parte della motivazione che ha spinto l’organizzazione internazionale Woman In Aerospace (WIA) a tributare un premio per meriti eccezionali a Patrizia Caraveo, direttrice dell’Istituto di Fisica Cosmica dell’INAF di Milano.

In particolare il riconoscimento è stato attribuito per il lavoro di ricerca svolto nell’ambito delle alte energie dell’Universo, che le è valso il merito di poter condividere, come co-investigator, per 3 volte il Bruno Rossi Prize della American Astronomical Society: nel 2007 con SWIFT, nel 2011 con Fermi e nel 2012 con AGILE.

Tra i meriti sottolineati la condivisione dell’intento della WIA di ampliare le opportunità di leadership delle donne, aumentando, inoltre, la loro visibilità nel settore aerospaziale.

“Ricevere un premio, dice Patrizia Caraveo, è sempre gratificante ed io sono veramente orgogliosa che Women in Aerospace Europa mi abbia assegnato un riconoscimento che intende premiare sia la mia attività di ricercatore, sia quella di professore”. “Mi fa pensare – continua il Direttore dell’INAF-IASF di Milano –  a tutti i laureandi e dottorandi (maschi e femmine) che ho visto crescere per diventare colleghi, oppure per intraprendere carriere diverse, ma non meno gratificanti. Mi ricorda che c’è molto da fare perché nel settore aerospaziale si possa superare la discriminazione di genere… ma le battaglie non mi hanno mai spaventato, specialmente quando posso contare sul supporto di colleghe (e amiche) che condividono gli stessi ideali”.

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Il buco nero e la trottola stellare

Rappresentazione artistica del sistema composto dalla stella di tipo Be in rapidissima rotazione (in primo piano) il cui disco equatoriale alimenta il disco di accrescimento del buco nero compagno. Crediti:Gabriel Pérez - SMM (IAC)

Rappresentazione artistica del sistema composto dalla stella di tipo Be in rapidissima rotazione (in primo piano) il cui disco equatoriale alimenta una altro disco, quello di accrescimento del buco nero compagno. Crediti: Gabriel Pérez – SMM (IAC)

A 8.500 anni luce di distanza da noi, in direzione della costellazione della Lucertola, c’è un sistema stellare tanto bizzarro quanto elusivo. La  componente principale della ‘strana coppia’ è una stella piuttosto calda e massiccia, di taglia compresa tra le 10 e le 16 masse solari, ma soprattutto che ruota a un ritmo elevatissimo, prossimo al limite che ne provocherebbe la disintegrazione. All’equatore la velocità di rotazione supera il milione di chilometri all’ora. Questa forsennata trottola celeste non riesce a trattenere gli strati gassosi più esterni di cui è composta, che così si staccano da essa e vanno ad alimentare un disco circumstellare intorno al suo equatore. Ad accompagnare MWC 656 – questa la sigla della stella – c’è un oscuro e discreto compagno, ovvero un buco nero di taglia stellare che non emette radiazione di alta energia. A scoprire questo sistema – il primo del suo genere – è stato un team di astronomi spagnoli guidato da Jorge Casares, ricercatore dell’Instituto de Astrofisica de Canarias (IAC) e  dell’Università  La Laguna. Probabilmente la coppia non sarebbe stata scoperta se in direzione di MWC 656 non fosse stata individuata nel 2010 una sporadica emissione di raggi gamma dall’osservatorio orbitante tutto italiano AGILE (Astrorivelatore Gamma a Immagini Leggero), che attualmente sta attraversando un periodo poco felice a causa di difficoltà di budget da parte dell’Agenzia Spaziale Italiana.

“Abbiamo cominciato a studiare questa stella proprio a partire da quel segnale del 2010” spiega Marc Ribó, dell’Institut de Ciènces del Cosmos di Barcellona, coautore dell’articolo sulla scoperta pubblicato nell’ultimo numero della rivista Nature. “Dopo di quello non sono state più osservate emissioni gamma in quella regione di cielo, ma abbiamo scoperto che quella stella è parte di un sistema binario”.

L’analisi dettagliata del suo spettro, condotta dal team con i telescopi Liverpool e Mercator dell’Osservatorio di Roque de los Muchachos sulle Isole Canarie, ha così permesso agli scienziati di scoprire l’emissione di un altro disco, questa volta di accrescimento intorno alla compagna, permettendo quindi di scovarla, questa compagna, e determinare la sua massa, compresa fra 3,8 e 6,9 volte quella del nostro Sole. Un oggetto del genere , invisibile ai telescopi ma così massiccio può essere solo un buco nero. Anche una stella di neutroni, l’unico altro tipo di oggetto molto compatto che avrebbe potuto sfuggire alle osservazioni condotte dagli scienziati spagnoli, non può superare le tre masse solari.

Essendo il più ‘smilzo’ della coppia, è il buco nero in questo caso ad orbitare attorno alla stella e ad essere alimentato dalla materia espulsa da essa. “L’elevata velocità di rotazione delle stelle appartenenti alla classe ‘Be’ di cui fa parte MWC 656 produce il disco equatoriale di gas che le circonda” aggiunge Ignacio Negueruela , docente presso l’ Università di Alicante. “La materia che lo compone è attratta dal buco nero e cade su di esso , formando un altro disco, il ‘disco di accrescimento’ . Ed è stato proprio studiando l’emissione della radiazione prodotta dal disco di accrescimento che abbiamo potuto determinare il moto del buco nero e misurare la sua massa”.

 

“Conosciamo già un’ottantina di sistemi binari contenenti una stella di questo tipo e una stella di neutroni, ma questo è il primo in cui l’oggetto compatto è confermato essere un buco nero” commenta Tomaso Belloni dell’Osservatorio Astronomico di Brera dell’INAF. “La sua bassissima emissione in raggi X (non è mai stato rivelato con satelliti per astronomia X) indica che la penuria di oggetti di questo tipo è un effetto osservativo. Se AGILE non avesse osservato un evento in raggi gamma il sistema non sarebbe stato studiato e il buco nero non sarebbe stato individuato. L’importanza della scoperta sta nel fatto che il numero di simili sistemi stellari nella Galassia dipende dalla loro evoluzione e queste osservazioni sono il modo più diretto per capirla appieno”.

 

Per saperne di più:

l’articolo A Be-type star with a black hole companion di J. Casares et al., pubblicato sulla rivista Nature

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani

Una nuova finestra sull’Universo violento

AthenaL’Agenzia Spaziale Europea (ESA) mette in cantiere un nuovo, grande, telescopio spaziale che osserverà l’universo nei raggi X. Lo Science Program Committee dell’ESA  ha infatti selezionato oggi “The Hot and Energetic Universe”, ovvero “L’Universo caldo ed energetico” come tema scientifico per la sua prossima grande missione spaziale, il cui lancio è previsto nel 2028.

“L’Italia è ai vertici dell’eccellenza mondiale nell’astronomia X e Gamma” dice Giovanni Bignami, presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. “Gli scienziati italiani, in particolare quelli del nostro Istituto, saranno la componente fondamentale nella realizzazione della missione, sia per la parte scientifica sia per lo studio del concetto di satellite e dei suoi strumenti. Ci resta ancora tanto da scoprire  in questo campo e per riuscirci – conclude Bignami – ci vorrà un nuovo telescopio spaziale che sia dotato dei più avanzati ritrovati tecnologici nel settore della ricerca astrofisica. Dispositivi che, una volta realizzati, potranno fornire un importante ritorno, con applicazioni in ambiti ben diversi dal campo della sola ricerca spaziale”.

L’ Universo è permeato di un plasma caldissimo, che si estende in una ragnatela cosmologica e al cui centro risiedono gli ammassi di galassie. I buchi neri di ogni taglia, i più grandi dei quali risiedono al centro di ogni galassia,  sono fondamentali per comprendere come “funziona” l’universo che noi conosciamo. L’energia espulsa dal buco nero è in grado di influenzare la formazione e la vita delle stelle e della galassia che lo ospita.  I primi si sono formati dall’esplosione delle prime stelle dell’Universo, circa 150 milioni di anni dopo il Big Bang. Queste stelle primordiali sono evolute molto rapidamente, in “appena” un milione di anni dalla nascita hanno esaurito il loro combustibile e sono esplose,  formando e poi espellendo nello spazio i primi elementi chimici più pesanti dell’idrogeno e dell’elio – come carbonio, ossigeno e ferro – e  generando i primi buchi neri dell’Universo, i ‘semi’ dei buchi neri supermassicci che oggi si trovano al centro di ogni galassia. Il modo di scoprire queste stelle primordiali è osservare e studiare la loro esplosione, che è accompagnata da un lampo di raggi gamma.

“L’enorme flusso di radiazione in raggi X prodotta dal lampo gamma ci permetterà letteralmente di radiografare la materia che lo circonda e quindi determinare la distanza e la composizione chimica,  il segno di riconoscimento delle stelle primordiali dalle generazioni seguenti” spiega Luigi Piro dell’INAF-IAPS di Roma, il coordinatore del team italiano della proposta per il concetto di missione  chiamato Athena+.

È importante che la comunità di astrofisica dei raggi X prosegua il suo lavoro di ricerca. Il telescopio spaziale avrà bisogno di uno specchio di grande area e rivelatori per raggi X di nuova concezione che funzionino a temperature bassissime in fase di transizione superconduttiva (i soli strumenti  in grado di misurare con grandissima precisione l’energia e la posizione di ogni singolo fotone X) e questo richiede uno sforzo congiunto a livello europeo e internazionale. “L’Italia – prosegue Piro – è stata tra i primi Paesi a sviluppare questa tecnologia ed è leader nel settore, grazie all’impegno dei ricercatori dell’INAF, delle Università, del CNR  e il supporto dell’ASI”.

“Oggi si è senza dubbio fatto un passo fondamentale” ha dichiarato Enrico Flamini immediatamente a valle della votazione cui ha partecipato questa mattina come delegato italiano allo Science Program Committee dell’ESA. “Oggi, con voto unanime da parte di tutte le Delegazioni, non abbiamo approvato una specifica missione, ma un tema scientifico che tuttavia si basa su studi e sviluppi condotti negli ultimi anni e che hanno visto una larga fetta degli astrofisici spaziali italiani dare il loro sostanziale supporto di competenza. Una competenza che si è sviluppata  e consolidata soprattutto grazie ad alcuni programmi dell’ASI come Beppo-Sax e Agile”.

Il tema vincente proposto, che vede il supporto di oltre 1200 ricercatori in tutta Europa,  coinvolge numerosi Istituti e Osservatori dell’INAF (IAPS/Roma, IASF di Milano, Bologna, Palermo, Osservatori di Milano, Trieste, Torino, Bologna, Arcetri, Padova, Roma, Napoli, Palermo ) e le  Università di Roma (I, II e III), Milano, Trieste, Bologna, Palermo, l’Università e sezione INFN di Genova e l’IFN del CNR.

 

Per saperne di più:

Il comunicato stampa INAF-ASI.

Fonte: Media INAF | Scritto da Davide Coero Borga

10 miliardi di anni in un lampo

grp 8 novembreI GRB (Gamma-Rays Burst) sono flash di raggi gamma di altissima intensità ma della durata di pochi secondi. Si ritiene che siano legati alla fine di stelle di grande massa, anche se i meccanismi che producono questi fenomeni sono ancora in parte avvolti nel mistero. La notte dello scorso 8 novembre, gli strumenti a bordo dei satelliti Fermi ed AGILE hanno rivelato il GRB 131108A che, per qualche decina di secondi, ha mostrato una intensità eccezionalmente alta anche per eventi di questo genere.

Questo evento è stato riconosciuto e localizzato dal software di bordo dello strumento Fermi/LAT (GCN 15464, Racusin et al. e GCN 15472, Vianello et al.) senza alcun intervento umano (circostanza avvenuta solo in un’altra occasione fin’ora), a testimonianza di quanto raro e interessante sia stato. Grazie alla rapida localizzazione fornita da LAT, il satellite Swift ha potuto ripuntare la posizione del GRB e avviare la ricerca di un eventuale afterglow solo 90 minuti dopo il trigger (il tempo tipico per questa operazione è solitamente 8 -10 ore). È stato così possibile raffinare la localizzazione al livello dei sub-minuti d’arco, rendendo possibile puntare ed effettuare osservazioni con i grandi telescopi ottici terrestri. Questo ha portato alla misura del redshift di questo GRB,che si è rivelato essere di ben 2.4 .

Anche AGILE ha osservato il GRB 131108A (GCN 15479, Giuliani et al.) che è “transitato” nel campo di vista dello strumento GRID durante I primi 150 secondi dopo l’evento, durante i quali ha mostrato un’emissione molto più prolungata rispetto a quanto osservato in banda hard X. Questo GRB ha mostrato un spettro decisamente “soft”, il che ha permesso ad AGILE, che è ottimizzato per lavorare ad energie piu’ basse rispetto a Fermi, di rivelare un notevole numero di fotoni in una banda (quella tra i 10 e i 100 MeV) in cui è tradizionalmente difficile fare astronomia e che è ancora largamente inesplorata.

A rendere ancora più interessante l’evento del 8 novembre è la notevole distanza da cui provengono i fotoni gamma del GRB. Il redshift di 2.4 associato a questo evento corrisponde infatti a circa 10 miliardi di anni luce, il GRB è quindi scoppiato quando l’universo aveva solo pochi miliardi di anni. La luminosità e la distanza di questo evento implicano che l’energia sprigionata in pochi secondi dal GRB 131108A è 1000 volte maggiore di quella prodotta dal Sole durante la sua intera vita.

Nelle successive ore e giorni è stato osservato da divesti osservatori l’afterglow nell’ottico, nel radio e nei raggi X, fornendo un formidabile set di dati per lo studio multi-lunghezza d’onda del GRB.

Fonte: Media INAF | Scritto da Andrea Giuliani

Quel mostro di lampo gamma

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L’immagine, centrata sul polo nord galattico, mostra il lampo di raggi gamma GRB 130427A osservato dallo strumento LAT a bordo dell’osservatorio orbitante Fermi della NASA. Crediti: NASA/DOE/Fermi LAT Collaboration

Una stella finisce il suo ciclo evolutivo, collassa e nella immane esplosione che ne segue rilascia una smisurata quantità di energia. Simili eventi sono assai frequenti nell’universo, ma è raro trovarne  che siano allo stesso tempo così vicini, intensi e di lunga durata come il lampo di raggi gamma (GRB) avvenuto lo scorso 27 aprile e registrato da Fermi, Swift , NuSTAR  e Agile con il supporto di numerosi osservatori a Terra.   GRB 130427A – questa la sigla dell’evento – è stato individuato per primo dallo strumento GBM (Gamma-ray Burst Monitor) a bordo dell’osservatorio orbitante Fermi della NASA. Contemporaneamente il Large Area Telescope (LAT) sempre a bordo della missione Fermi rivelava un intensissimo flusso di fotoni gamma di alta energia, registrando anche il fotone di maggior energia mai associato ad un lampo gamma: ben 94 GeV (gigaelettronvolt, miliardi di elettronvolt), ovvero circa quaranta miliardi di volte maggiore dell’energia trasportata dai fotoni della radiazione luminosa.  Oltre a essere molto intenso, GRB130427A ha anche avuto un’emissione di fotoni gamma molto prolungata, come testimoniano le registrazioni del telescopio LAT che ha osservato il GRB per circa 20 ore e ha rilevato negli istanti iniziali un picco di radiazione nei raggi gamma nello stesso momento in cui alcuni telescopi a Terra, tra cui quelli del progetto RAPTOR (Rapid Telescopes for Optical Response) registravano un lampo di luce visibile.

“L’eccezionale brillantezza dell’evento, unita alla quantità e qualità dei dati raccolti dai diversi osservatori,  ha permesso di mettere alla prova le teorie proposte per spiegare questi lampi di emissione, dimostrando che nessuna è in grado di spiegare tutti i dettagli che sono stati osservati” dice Patrizia Caraveo,  dell’INAF-Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano, responsabile per l’Italia di Fermi-LAT. “E’ una cosa che non deve sorprendere, perché  è proprio scoprendo i punti deboli che si migliorano  i modelli”.

httpvh://youtu.be/8bJotOZEmBA

La rapida risposta con cui questa sinergia di osservazioni è stata avviata nell’arco di pochi minuti dalla rivelazione del lampo è stata anche merito di un altro ‘cacciatore di lampi gamma’, ovvero il satellite Swift della NASA. “Appena ricevuti gli alert inviati dal satellite mi sono recato al computer per una primissima analisi dei dati” ricorda Alessandro Maselli, post-doc all’INAF-IASF di Palermo, che fa parte del Team Swift per l’Italia. “I risultati prodotti, il più importante dei quali è la misura estremamente precisa della posizione dell’afterglow, sono stati rapidamente resi disponibili alla comunità scientifica internazionale. Le osservazioni effettuate da un gran numero di telescopi, a partire da pochi minuti dopo il burst, hanno prodotto una gran quantità di circolari per molti giorni a seguire”.

Il telescopio per raggi X di Swift ha ripreso questa immagine del lampo gamma GRB 130427A (tempo di esposizione 0.1 secondi) pochi istanti dopo il suo riposizionamento sulla sorgente. Crediti: NASA/Swift/Stefan Immler

Il telescopio per raggi X di Swift ha ripreso questa immagine del lampo gamma GRB 130427A (tempo di esposizione 0.1 secondi) pochi istanti dopo il suo riposizionamento sulla sorgente. Crediti: NASA/Swift/Stefan Immler

“Abbiamo subito capito che si trattava di un evento straordinario e nei giorni successivi abbiamo dedicato tutto il nostro tempo all’analisi dei dati che Swift continuava a raccogliere. L’intensità dell’evento è stata tale da permetterci uno studio eccezionalmente dettagliato della sua emissione nei raggi X, come mai fino ad ora era stato possibile” ribadisce Giancarlo Cusumano, responsabile e coordinatore del Team Swift presso l’INAF-IASF di Palermo.

E grazie alle tempestive osservazioni da Terra, guidate dai dati sulla posizione della sorgente forniti da Swift, arriva nell’arco di un paio d’ore anche un’altra misura assai importante del GRB, ovvero quella della sua distanza, fissata a 3,8 miliardi di anni luce. “La vicinanza e la luminosità di questo burst ne fanno un evento unico” dice Gianpiero Tagliaferri, Responsabile e Coordinatore della partecipazione italiana a Swift . “Ci aspettiamo uno o due di questi eventi ogni secolo, averlo osservato con tutti questi strumenti è stata una combinazione unica. La sua vicinanza ci ha permesso di scoprire la supernova associata, cosa non possibile nei GRB di pari luminosità tipicamente scoperti a distanze molto maggiori. Gli altri burst vicini fino ad oggi scoperti ed a cui è stata associata una SN erano molto più deboli. Questo burst ha quindi permesso di confermare che eventi vicini e deboli hanno caratteristiche del tutto simili a quelli più brillanti e lontani, che sono la maggioranza”.

 

 

L’Italia ha dato e sta dando un contributo significativo a tutti e tre i satelliti della NASA protagonisti delle osservazioni del lampo gamma GRB 130427A.

  • La partecipazione Italiana alla missione Fermi si articola, oltre che su un importante contributo INFN alla progettazione e costruzione del tracker del LAT, sulla gestione della missione in orbita e sull’analisi scientifica dei dati, compiti ai quali contribuiscono INAF, INFN ed ASI-ASDC.
  • Il satellite Swift è una missione NASA con partecipazione internazionale (Italia e UK). L’INAF OA Brera ha provveduto le ottiche XRT e ha realizzato, assieme ad altri istituti INAF, il telescopio ottico-infrarosso REM, mentre l’ASI Science Data Centre (ASDC) ha fornito il software di analisi scientifica dei dati di XRT. Il team italiano partecipa alla gestione scientifica del satellite. La partecipazione italiana è resa possibile grazie al supporto di ASI, che fornisce anche la stazione di terra di Malindi.
  • Per la missione NuSTAR, l’Italia partecipa fornendo supporto alle operazioni in orbita tramite la base di Malindi (ASI) e il software di analisi scientifica dei dati prodotto dall’ASDC. Contribuisce inoltre alla calibrazione e all’interpretazione scientifica dei dati con un team di scienziati appartenenti a diversi istituti scientifici nazionali.

 

Gli articoli sul lampo di raggi gamma GRB 130427A pubblicati online su Science

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Marco Galliani

Una rivista per le alte energie

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Elsevier ha annunciato la nascita di una nuova rivista Journal of High Energy Astrophysics (JHEAp), interamente dedicata all’astrofisica delle alte energie (www.elsevier.com/locate/jheap).

È un campo in crescita esplosiva grazie al successo delle missioni spaziali dedicate allo studio degli oggetti celesti in raggi X e raggi gamma ed ai telescopi Cherenkov a terra che estendono l’intervallo di energia coperto fino ai TeV. In parallelo, crescono le campagne di osservazioni multi lunghezze d’onda dedicate a questo o a quell’oggetto celeste. Tutti questi risultati, insieme a lavori di stampo teorico, anche dedicati alla sempre presente ma, sempre sfuggente, materia oscura, ai raggi cosmici, ai neutrini, alle onde gravitazionali possono trovare spazio nel nuovo giornale che promette un rigoroso processo di valutazione, coniugato ad un costo di abbonamento contenuto, pensato per coprire le spese di pubblicazione, visto che nulla sarà richiesto agli autori. Durante il primo anno il giornale sarà offerto in open access.

Dal punto di vista scientifico, l’editor in chief è Diego Torres che verrà coadiuvato da un gruppo di Associate Editors che, in ordine alfabetico, sono Markus Bottcher (North-West University, South Africa), Patrizia Caraveo (INAF-Istituto Nazionale di Astrofisica, Italy), K.S. Cheng (Hong Kong University of Science & Technology, China), Monica Colpi (Università degli Studi di Milano-Bicocca, Italy), Yasuo Fukui (Nagoya University, Japan), Shuang-Nan Zhang (Chinese Academy of Sciences (CAS), China), Olaf Reimer (Leopold-Franzens-Universität Innsbruck, Austria).

Il giornale non è pensato per la pubblicazione di atti di conferenze, ma piuttosto risultati originali e articoli di rivista. Visto che è già possibile inviare manoscritti, sono curiosa di vedere quali saranno i primi autori coraggiosi, disposti a inviare il loro lavoro a una rivista che ancora non ha un impact factor. È questa la sfida di chi si affaccia in un panorama editoriale caratterizzato da riviste gloriose e ben radicate.

Gli editori di JHEAp ed Elsevier pensano che ci sia spazio per una rivista nuova in un campo in continua crescita…. Vedremo come la comunità dell’astrofisica delle alte energie accoglierà questa iniziativa.

 

 

 

Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo

Quando la costanza viene meno

Una delle caratteristiche finora attribuite all’emissione di raggi gamma di una stella di neutroni era la sua costanza. Ma uno studio pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters sembra mettere in forse il paradigma della stabilità delle pulsar nei raggi gamma.

È stato il satellite della NASA Fermi a rivelare una diminuzione di flusso in questa banda di radiazione da PSR J2021+4026, una pulsar gamma senza emissione radio che si trova nella regione di cielo del Cigno e simile a un’altra celebre sorgente di questo tipo: Geminga.

Immagine gamma della regione centrata sulla pulsar PSRJ2021+4026 a sinistra la visione prima del sussulto a destra la visione successiva che mostra chiaramente la diminuzione del flusso Sotto, un grafico del tasso di rallentamento della pulsar (espresso in milionesimi di rotazioni perse nel corso di un anno). Nel corso di ottobre 2011 il tasso di rallentamento è passato da 6,5 milionesimi di giro all'anno a 6,7. Un effetto macroscopico nell'energetica della pulsar

Immagine gamma della regione centrata sulla pulsar PSRJ2021+4026
a sinistra la visione prima del sussulto a destra la visione successiva che mostra chiaramente la diminuzione del flusso
Sotto, un grafico del tasso di rallentamento della pulsar (espresso in milionesimi di rotazioni perse nel corso di un anno). Nel corso di ottobre 2011 il tasso di rallentamento è passato da 6,5 milionesimi di giro all’anno a 6,7. Un effetto macroscopico nell’energetica della pulsar

PSR J2021+4026 ruota su se stessa circa quattro volte al secondo, e la sua vorticosa velocità rallenta di qualche milionesimo di giro ogni anno perché, come per tutte le pulsar, il gigantesco campo magnetico della stella agisce come un freno. L’energia persa quando la stella rallenta viene emessa sotto forma di radiazione elettromagnetica, permettendoci di rivelare le pulsar a varie lunghezze d’onda. Se confrontata con le altre pulsar a raggi gamma, PSR J2021+4026 è una stella di neutroni abbastanza giovane (l’età calcolata è di circa 77.000 anni) e ragionevolmente energetica. Gli astrofisici suggeriscono una probabile associazione con il resto di supernova G78.1+2.1, cosa che la collocherebbe a una distanza di quasi 5 mila anni luce. Recentemente il telescopio per lo studio dell’universo nelle alte energie, ovvero XMM-Newton dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA), è riuscito a misurare la sua pulsazione in raggi X. Una caratteristica che, ancora una volta, la accomuna a Geminga. Solo tre infatti, tra le 35 stelle di neutroni senza emissione radio del secondo catalogo delle pulsar Fermi, sono state viste pulsare nei raggi X (oltre a PSR J2021+4026 e Geminga, nel club esclusivo trova posto anche PSR J0007+7303, nel resto di Supernova denominato CTA-1).

Fatte queste debite premesse, è necessario ora ricordare che nel 2011 il team che coordina le attività del satellite AGILE (satellite italiano per le alte energie dell’Universo realizzato dall’ASI con il contributo scientifico dell’INAF) ha annunciato, in un articolo pubblicato sulla rivista Astronomy&Astrophysics che, nel periodo tra novembre 2007 e agosto 2009, aveva registrato la variazione di una sorgente nella regione del Cigno. “Con AGILE abbiamo visto che, confrontata con le sorgenti vicine, 1AGL J2022+4032 non era costante – dice Andrew Chen, primo autore dell’articolo – ma non abbiamo potuto escludere che la variabilità fosse dovuta alla nebula della pulsar o a qualche altra sorgente”. Dal momento che PSR J2021+4026 è la sorgente nel catalogo di Fermi più vicina a quella osservata da AGILE, Massimiliano Razzano e Luigi Tibaldo (il primo esperto di pulsar, il secondo conoscitore della complicata regione del Cigno) hanno deciso di dare un’occhiata al suo comportamento seguendo l’andamento della sua emissione monitorata nel corso degli ultimi anni da Fermi.

Con grande sorpresa i due ricercatori, membri del team di Fermi-LAT, hanno visto che la sorgente mostrava una diminuzione del flusso che si è verificata nello spazio di una settimana, nell’ottobre 2011. Il confronto con PSR J2021+3651, un’altra pulsar simile alla sorgente in esame per flusso e spettro a solo 3,5 gradi di distanza, non rivela nessuna variazione, a riprova del fatto che la diminuzione di flusso osservata per PSR J2021+4026 è un effetto reale e non un problema strumentale.

L’analisi degli impulsi di raggi gamma emessi dalla sorgente rivela che, in corrispondenza della diminuzione di flusso, il tasso di rallentamento della stella è cambiato. “Quando abbiamo individuato il cambio del flusso gamma non pensavamo che potesse essere dovuto alla pulsar” dice Luigi Tibaldo, Post Doc all’Università di Stanford, “Poi abbiamo scoperto che,esattamente nella stessa settimana in cui il flusso era diminuito, bruscamente la rotazione della stella di neutroni intorno al suo asseaveva cominciato a rallentare più rapidamente. La simultaneità tra i due fenomeni ha provato che erano legati alla pulsar”. Non è la prima volta che si vede un sussulto, ossia un improvviso cambiamento nella velocità con cui una stella di neutroni ruota su se stessa. I sussulti, in termini tecnici glitch, sono abbastanza normali, specialmente nelle pulsar ‘giovani’, e gli astronomi radio sono abituati a studiarli. Anche nei dati di Fermi si sono visti parecchi di questi eventi, ma di solito non sono associati a un cambiamento di flusso. Sia nei dati radio sia in quelli gamma, al sussulto di solito segue un periodo di recupero abbastanza rapido che termina con il ritorno alla normalità dei parametri che descrivono la rotazione della stella. La pulsar nella costellazione delle Vele, per esempio, è nota per avere dei sussulti molto frequenti, ma studi del comportamento della sorgente gamma (che è la più brillante del cielo) prima e dopo non hanno mai evidenziato nessun cambiamento nel flusso.

Nel caso di PSR J2021+4026, invece, non si vede nessun recupero. I parametri sono cambiati e non sembrano intenzionati a tornare ai valori precedenti. Si tratta di un fenomeno nuovo per l’astronomia gamma e Massimiliano Razzano, giovane ricercatore a tempo determinato presso il Dipartimento di Fisica dell’Università di Pisa e l’INFN, dice: “Pensiamo che questo brusco cambiamento d’umore sia dovuto a un’improvvisa riconfigurazione del campo magnetico della pulsar, che potrebbe persino aver modificato un po’ la direzione dell’asse magnetico della stella. Approfondire lo studio del fenomeno potrebbe aiutarci a capire meglio le leggi fisiche dei campi magnetici in condizioni estreme. Parliamo di campi magnetici migliaia di miliardi di volte più intensi di quello terrestre e pertanto impossibili da creare in laboratorio”.

L’articolo intitolato PSR J2021+4026 in the Gamma Cygni region: the first variable gamma-raypulsar seen by the Fermi LAT è pubblicato sulla rivista Astrophysical Journal Letters ed è disponibile anche all’indirizzo http://arxiv.org/abs/1308.0358v2

L’articolo Study of the γ-ray source 1AGL J2022+4032 in the Cygnus region basato sulle osservazioni del satellite AGILE è pubblicato sulla rivista Astronomy&Astrophysics, volume 525, pag 33 (2011) e disponibile anche all’indirizzo http://arxiv.org/abs/1009.5539

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Science si dedica al Granchio

Marco Tavani mentre riceve il Premio Internazionale Bruno Rossi

Marco Tavani  riceve il Premio Internazionale Bruno Rossi

Marco Tavani ha un rapporto particolare con la nebulosa del Granchio, che risale  ai tempi del suo dottorato all’Università di Columbia. Teorico di formazione, Marco aveva deciso di focalizzare la sua attenzione sulla fisica delle stelle di neutroni, con particolare interesse alla loro emissione gamma, e la nebulosa del Granchio, con il suo pulsar così energetico, era uno dei suoi soggetti preferiti.

All’epoca non poteva neanche lontanamente immaginare che, passati gli anni, e trasformatosi in sperimentale, con la responsabilità del progetto, della costruzione e della gestione in orbita della missione AGILE, la nebulosa del Granchio gli avrebbe fatto un regalo così straordinario che persino lui fece fatica a crederci.  In un News Focus, apparso sul numero di Science del 16 Agosto, un editorialista della rivista racconta la sequenza di eventi che ha portato AGILE ( e quindi Marco Tavani) alla scoperta della variabilità delle nebulosa del Granchio. È un racconto interessante che mette in luce il percorso non sempre lineare che ha portato ad una scoperta rivoluzionaria.

Quando, nel 2007, la nebulosa del Granchio, contrariamente a tutte le aspettative, decise di variare il suo flusso ad energia >100 MeV,  Marco Tavani cercò di ignorare la cosa, pensando si trattasse di capricci del suo strumento appena lanciato. Poi, quando la nebulosa ci riprovò con più decisione nel settembre 2010, si dovette arrendere all’evidenza: la nebulosa del Granchio voleva proprio fargli una sorpresa. Per questa scoperta,  Marco Tavani e la collaborazione Agile sono stati insigniti del  Premio Bruno Rossi. Le teorie sull’emissione di alta energia della nebulosa vanno riscritte, ed è quello che stiamo facendo.

L’articolo di Science

Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo

Il GRB, il buco nero e la stella di neutroni

LAT_before_and_after_labelsPer la prima volta è stata osservata una “macchina del tempo” cosmica, sottoforma di un lampo gamma migliaia di volte più potente rispetto a quelli osservati nelle “vicinanze” del Sistema solare. “Può essere considerata una macchina del tempo perché lampi gamma così  potenti vengono di norma osservati a distanze cosmologiche quando l’universo era ancora giovane. La loro luce ha viaggiato anche  13 miliardi di anni prima di essere catturata dai nostri telescopi” ha spiegato il direttore dell’Osservatorio di Capodimonte dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Massimo Della Valle, a margine del congresso della Società Astronomica Italiana (SAIt) in corso a Bologna. “Ma non è stato questo il caso di GRB 130427A, esploso a una distanza quasi 10 volte inferiore”.

A far scattare l’allerta è stato il telescopio spaziale Fermi della NASA, al quale l’Italia partecipa con INAF, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Il burst, osservato anche da Swift (un satellite dedicato allo studio dei Lampi Gamma, con una importante partecipazione italiana)  ha immediatamente attivato i telescopi terrestri e messo in fermento la comunità internazionale degli astronomi, per l’enorme potenza e la relativa vicinanza del fenomeno (vedi l’articolo su Media INAF).

“Poter osservare un fenomeno del genere è stato un autentico colpo di fortuna”, ha detto ancora Della Valle. “Finora – ha proseguito – non era mai accaduto che un lampo gamma potente come quelli che vengono osservati nell’universo lontano esplodesse fuori dalla porta di casa. L’evento è stato inaspettato, ma non ci ha colto di sorpresa, infatti un team dell’INAF lo sta osservando con il Very Large Telescope (VLT), il grande telescopio di 8 metri e mezzo di diametro dell’Osservatorio Europeo Meridionale (ESO), dislocato nel deserto di Atacama in Cile”.

La scommessa adesso è riuscire a comprendere l’origine del fenomeno.  Le osservazioni degli ultimi 10 anni hanno dimostrato che i Gamma-ray Burst di lunga durata (fino a qualche migliaio di secondi) e intrinsecamente deboli, sono prodotti nell’esplosione di una supernova e dal buco nero che si viene a formare.  Per quelli più potenti a causa dell’estrema distanza non mai è stato possibile osservare l’eventuale supernova progenitrice. Se nei prossimi giorni riusciremo ad osservare la Supernova eventualmente associata a GRB 130427A, potremo arrivare ad una conclusione di grande importanza: tutti i GRB  (di lunga durata) indipendentemente dal fatto che siano intrinsecamente deboli o luminosissimi, hanno un’origine comune.

Al congresso è stata inoltre presentata un’ipotesi dal direttore del Centro Internazionale per l’Astrofisica Relativistica (ICRA), Remo Ruffini. Molte delle stelle vivono in compagnia, almeno il 50% appartengono a sistemi binari. Secondo Ruffini la vicinanza di questo GRB permetterà di verificare un possibile modello, nel quale il sistema binario è inizialmente composto da due stelle massicce.  Secondo Ruffini la prima stella, esaurito il suo combustibile nucleare, esplode come supernova, mentre le sue parti centrali, collassando, creano una stella di neutroni. La seconda stella, meno massiccia, esplode anch’essa in un lasso di tempo più lungo e gli strati esterni espulsi investiranno la stella di neutroni provocandone il collasso in un buco nero ed emettendo un lampo gamma. Nel frattempo il core della stella esplosa come Supernova collassa in una stella di neutroni.

Questo processo ipotetico porterebbe quindi alla fine a creare un buco nero, un GRB e una stella di neutroni.

Fonte: Media INAF | Scritto da Enrica Battifoglia

Così luminoso e così vicino

Fermi_GRB_Sequence Il 27 Aprile un nuovo brillantissimo lampo gamma (gamma ray burst GRB) ha illuminato il cielo delle alte energie, suscitando l’interesse degli astronomi di tutto il mondo. I GRB sono le esplosioni più potenti dell’universo e si pensa siano associati alla fase finale della vita di una stella di grande massa che, una volta finito il propellente nucleare, collassa sotto il proprio peso. Mentre il nucleo centrale si trasforma in un buco nero, si formano getti  ben collimati di materiale che si muove a velocità prossime a quella della luce. Questi getti trapassano l’inviluppo della stella che sta collassando ed interagiscono con il gas precedentemente espulso dalla stella stessa generando una brillante luminescenza (“afterglow”) che viene poi osservato alle frequenze dei raggi X, in ottico e in radio per giorni e mesi dopo il burst.

Questo nuovo GRB, chiamato GRB130427A (il primo GRB rivelato il 27 aprile 2013), ha prodotto i fotoni più energetici mai associati ad un simile evento. Il rivelatore LAT a bordo del satellite Fermi  ha registrato fotoni fino ad energie di 94 miliardi di elettronvolt (94 GeV).

L’eccezionale emissione alle alte energie del GRB130427A è stata rivelata anche dal detector di raggi gamma GRID del satellite italiano AGILE. Il flusso sopra i 100 MeV è stato così alto che è stato possibile, per la prima volta per un GRB,rivelarlo addirittura con tecniche standard usate per l’analisi dati di sorgenti gamma persistenti.

Il GRB è rimasto visibile nella banda dei GeV per ore stabilendo il record di durata per l’emissione gamma di un GRB.

Un GRB straordinario che si è fatto notare anche nelle altre bande energetiche. Grazie all’accurata posizione derivata dal satellite Swift, che ha prontamente comunicato l’informazione agli astronomi di tutto il mondo entro pochi secondi dall’esplosione del burst. è stato possibile trovare la controparte ottica  infrarossa ed anche radio. Uno dei GRB più intensi a tutte le lunghezze d’onda mai visti.

“Queste osservazioni hanno permesso di stabilire che il lampo è esploso in una galassia che dista 3.6 miliardi di anni luce da noi, una distanza che sembra enorme, ma che in realtà è relativamente modesta per un GRB” dice Patrizia Caraveo, responsabile INAF per lo sfruttamento scientifico del satellite Fermi. “Infatti, tradotto in redshift, questa distanza corrisponde a z=0.34, mentre mediamente i GRB hanno un redshift di z~2, con il GRB più lontano scoperto a z=8.3, un numero che implica che la sua emissione ha viaggiato circa 13 miliardi di anni per arrivare fino a noi”.

Ora gli astronomi stanno puntando i loro potenti telescopi ottici sulla posizione dove è avvenuto il lampo alla ricerca dell’eventuale supernova associata. Infatti, questo evento è uno dei più vicini ed è proprio da questi burst abbastanza vicini che è possibile vedere l’emissione della SN che ha originato l’evento e che dovrebbe comparire 2-3 settimane dopo l’esplosione del burst. “Di solito i burst più vicini sono anche quelli più deboli. Questo burst, invece, è fra i più brillanti mai visti, cioè è tra quelli che hanno liberato una maggiore quantità di energia” dice Gianpiero Tagliaferri, responsabile scientifico del team italiano che partecipa alla missione Swift. “Quindi gli astronomi sono divisi  tra chi si aspetta che la supernova venga scoperta e chi invece pensa che non ci sarà, dal momento che GRB130427A è il più brillante fra tutti i burst scoperti a z<1 e, magari, potrebbe essere speciale”. Rivaleggiando in energia con i lampi gamma esplosi alle origini dell’Universo, GRB130427A ci permetterà di capire se i GRB più potenti e più lontani sono simili a quelli più deboli rivelati  nelle nostre vicinanze, ai quali è stata associata una SN. LAT_before_and_after_labels

La news sul sito della NASA

Per saperne di più:

Il satellite Fermi e il ruolo italiano

Il satellite Swift e il ruolo italiano

Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf

Un brillante ping pong

W44Da giusto un secolo sappiamo che la Terra è costantemente sottoposta ad una doccia di raggi cosmici. Si tratta di particelle di altissima energia, per lo più protoni, che ci piovono addosso da ogni direzione. Difficile dire da dove vengano perché il debole campo magnetico che pervade la nostra galassia è sufficiente per curvare la loro traiettoria rendendo impossibile ricostruire la loro direzione di origine. Non resta che procedere a ritroso cercando di capire quali condizioni fisiche siano necessarie per accelerare particelle ad energie così alte (anche superiori a quelle raggiungibili dagli acceleratori del CERN).

L’idea brillante venne ad Enrico Fermi che propose un meccanismo tipo ping pong per aumentare la velocità (quindi l’energia cinetica) delle particelle grazie a rimbalzi su strutture in movimento nel mezzo interstellare. Ovviamente le particelle non rimbalzano contro un muro ma interagiscono con una struttura, tipicamente un filamento,  caratterizzata da densità maggiore di quella dell’ambiente circostante, quindi da un campo magnetico più elevato. E’ il campo magnetico che devia la traiettoria delle particelle ridistribuendole in tutte le direzioni. Le particelle che rimangono intrappolate nel campo magnetico del filamento, ad ogni rimbalzo acquistano un po’ di energia a spese del moto del  filamento… e vengono accelerate.

Le strutture in movimento più spettacolari che conosciamo sono i resti di supernova, quindi l’identikit delle possibili sorgenti di raggi è presto fatto: gli oggetti celesti ideali per accelerare i raggi cosmici sono i resti delle esplosioni di supernova.  L’astronomia X, grazie alle osservazioni di Chandra ed XMM-Newton, ci ha fornito prove convincenti che i resti di supernova emettono radiazione di sincrotrone prodotta da elettroni accelerati che interagiscono con il campo magnetico dei filamenti in movimento. E’ un buon inizio, ma non basta.

Noi sappiamo che la maggioranza dei raggi cosmici sono protoni e quello che cerchiamo è la prova della presenza di protoni accelerati. Peccato che i protoni siano più difficili da rivelare degli elettroni. Non emettono sincrotrone (i campi magnetici dei resti di supernova fanno il solletico ai protoni)  e l’unico modo che abbiamo di indovinare la presenza di protoni accelerati è attraverso i prodotti della loro interazione con il mezzo interstellare. Quando un protone dei raggi cosmici colpisce un protone del mezzo interstellare vengono generate diverse particelle, una delle quali, il pione neutro, decade immediatamente in due raggi gamma di alta energia.  Se questi fotoni, che vengono emessi in tutte le direzioni, viaggiano in direzione della Terra hanno una certa probabilità  di essere registrati dai telescopi gamma che operano in orbita terrestre: Agile, della Agenzia Spaziale Italiana, e Fermi della NASA (con una importante partecipazione italiana) . Dal momento che i raggi gamma si propagano in linea retta, possiamo capire da dove vengono. E’ in questo modo che l’astronomia gamma può partecipare da protagonista alla caccia alle sorgenti dei raggi cosmici.

Basta puntare Agile e Fermi verso un resto di supernova per avere la prova dell’accelerazione dei raggi cosmici?  Non è così semplice. Oltre ai protoni accelerati ci vogliono dei protoni bersaglio, quindi non basta guardare un bel resto di supernova, occorre selezionare un resto che si stia espandendo contro una nube interstellare. Per di più, i resti non devono essere troppo giovani per evitare un contributo troppo importante da parte dei sempre presenti elettroni, che sono anche capaci di produrre raggi gamma con un meccanismo che i fisici chiamano Compton inverso. Questo restringe la scelta a un numero esiguo di oggetti. I più promettenti sono noti come IC443 nell’anticentro della nostra galassia, più o meno a metà strada tra la nebulosa del Granchio e Geminga, e W44 immerso nel piano della nostra galassia. Entrambi sono stati studiati in dettaglio da Agile e Fermi e i risultati concordano nel mostrare la firma della presenza di protoni accelerati. Entrambi sono rivelati come sorgenti estese e la forma vista in gamma è compatibile con quella tracciata sulla base dei dati radio. Non è la forma del resto di supernova che ci mostra i protoni bensì lo spettro. E’ lì che si può trovare la prova che i raggi gamma sono stati prodotti dall’interazione dei protoni dei raggi cosmici con i protoni del mezzo interstellare.

Il pione neutro, quando decade, dà origine a due raggi gamma che ereditano sia la sua energia di massa, sia la sua energia cinetica. La massa del p0 è 135 MeV, quindi i due gamma possono contare su una eredità di massa di poco meno di 70 MeV ciascuno oltre all’energia cinetica della particella originale. I gamma prodotti dall’interazioni tra protoni accelerati e protoni bersaglio hanno una firma spettrale ben precisa e inconfondibile:  un bump intorno ai 100 MeV. E’ questo che è stato visto prima da Agile e adesso da Fermi, che pubblica su Science il grafico cumulativo dei dati gamma disponibili per W44 (vedi figura in alto).

Nel frattempo, Agile ha accumulato più dati e lo spettro (che Marco Tavani ha fornito in anteprima) ha una gobba ancora più pronunciata (figura a destra).W44_AGILE_new_model_new

E’ la fine del mistero? Solo in parte. Grazie ad Agile e a Fermi adesso sappiamo dove vengono accelerati i raggi cosmici che ci piovono addosso continuamente, non sappiamo ancora in dettaglio come ciò avvenga.

httpvh://youtu.be/1xI5DMK3AtY

Fonte: Media INAF | Scritto da Patrizia Caraveo