Blazar colto sul fatto: cronaca di un’osservazione

Rappresentazione artistica di un blazar (dall’inglese: blazing quasi-stellar object). Crediti: M. Weiss/CfA

Nel 2007 l’Agenzia spaziale italiana (Asi) – in collaborazione con l’Inaf, l’Infn e altri enti pubblici e privati – lanciò in orbita un cubetto di sessanta centimetri di lato e 85 kg di peso chiamato Agile: Astrorivelatore Gamma a Immagini ultra Leggero. Da allora Agile gira intorno alla Terra per scandagliare il cielo con una “lente” molto particolare: un rivelatore di raggi gamma, onde elettromagnetiche estremamente energetiche che, quando osservate, non lasciano dubbi sull’incredibile violenza dei fenomeni che le hanno generate.

Tra questi fenomeni estremi vi sono i cosiddetti “nuclei galattici attivi” (Agn), ovvero galassie che hanno al centro buchi neri supermassicci e che emettono getti di particelle relativistiche in grado di raggiungere distanze enormi. Gli Agn cambiano nome in base alla posizione che assumono rispetto alla nostra linea di vista: se i getti sono obliqui, li chiameremo “quasar”, se invece sono allineati con la Terra e creano un più criptico alone intorno al nucleo, si tratterà di un “blazar”. A volte questi oggetti mostrano picchi di luminosità e di potenza chiamati flare, che ancora non sono pienamente compresi.

E c’è proprio un blazar – Pks 1830-211, osservato da Agile alla fine di marzo 2019 – all’origine dell’osservazione congiunta Asi-Inaf di cui vi parliamo oggi. A mettere in stato d’allerta il team di Agile è stato un insolito flare, un bagliore improvviso tra i più forti mai osservati sullo stesso oggetto, peraltro già abbastanza monitorato da altri telescopi spaziali, come Fermi o Hubble. Il motivo di tanto interesse risiede nel fatto che una lente gravitazionale – ovvero una fortuita amplificazione dell’immagine del blazar prodotta dalla gravità di una coppia di galassie che si trova in mezzo tra noi e lui – ci consente di carpirne dettagli altrimenti irraggiungibili.

Al vedere un brillamento tanto intenso e insolito, i ricercatori del team Agile dell’Asi hanno ritenuto utile osservare anche in frequenze più basse dei raggi gamma, per poter capire meglio i meccanismi di emissione del blazar. Hanno quindi contattato Noemi Iacolina, loro collega specializzata in radioastronomia con un solido trascorso all’Osservatorio astronomico dell’Inaf di Cagliari e dunque grande conoscitrice e “pilota” del Sardinia Radio Telescope (Srt), inizialmente considerato lo strumento ideale per questo progetto di follow up. In quel momento, però, i ricevitori per questo tipo di osservazione non erano utilizzabili, per cui Srt è entrato in gioco solo in una seconda fase. Nel frattempo è stato attivato un altro radiotelescopio, quello della Stazione di Medicina dell’Istituto di Radioastronomia dell’Inaf di Bologna, più piccolo e datato di Srt ma ancora in ottima forma e, soprattutto, utilizzabile in remoto.

«Pochi giorni dopo aver inviato la proposta di osservazione», racconta Iacolina a Media Inaf, «nel pomeriggio del 15 aprile ho avuto la conferma che c’era la possibilità di osservare l’indomani (la notte tra il 16 e il 17 aprile, ndr), dalle quattro e mezza di notte alle nove e mezza del mattino. Ho dato appuntamento ad Alberto Pellizzoni all’Osservatorio di Cagliari per le quattro, ma il resto della notte l’ho passato a preparare le schedule per il telescopio, quindi non sono mai andata a dormire».

Le osservazioni sono andate bene, anche perché un livello così alto di segnale da questa sorgente non era mai stato osservato in banda radio, confermando l’eccezionalità dei risultati dell’osservazione di Agile. Alle sette di sera del 17 aprile, dopo sole 12 ore dalla fine delle osservazioni, il team di ricerca ha pubblicato un Astronomical Telegram (ATel): una specie di tweet a tema astronomico che, in attesa dei paper scientifici dettagliati, ha lo scopo di informare sulle osservazioni più recenti e mettere in allerta gli astronomi su oggetti interessanti che possono così essere osservati anche dal resto della comunità scientifica.

Su questo aspetto l’astronoma sarda ha idee chiare: «L’Italia ha un grande vantaggio, possiede infatti una serie di strumenti osservativi sia dell’Asi che dell’Inaf, che possono interagire e osservare simultaneamente gli stessi oggetti in varie lunghezze d’onda. Non tutti i paesi europei possono fare altrettanto, per questo sarebbe importante una sempre maggiore sinergia e un forte incoraggiamento di osservazioni di questo tipo che, accanto ai programmi annuali o pluriennali, siano in grado di rispondere ad allerte improvvise e dunque possano portare risultati scientifici assolutamente inediti».

«La vita del radioastronomo non ha orari, perché una sorgente può passarti davanti ed essere visibile per alcune ore indipendentemente dal fatto che sia giorno o che sia notte perché i radiotelescopi captano frequenze diverse da quelle della luce visibile», ricorda infine Iacolina, che essendo anche moglie e mamma di due bambini deve affrontare numerosi sacrifici per gestire lavoro e famiglia. «Devi essere sempre pronto, altrimenti rischi di vanificare mesi di ricerca per una sveglia che suona in ritardo o un telefono silenziato. A casa lo sanno, ormai ci abbiamo fatto l’abitudine, anche perché osservare cose nuove e speciali è il sogno di ogni ricercatore e, dopotutto, vale tutta questa fatica»

Per saperne di più:

Leave a Reply